Commento all’editoriale
“Predatory Journals What Can We Do to Protect Their Prey?”*
Umberto Nizzoli, gennaio 2025
Giovedì 9 Gennaio 2025, nel primo pomeriggio, apro il computer e scorro gli articoli pubblicati da una rivista che leggo regolarmente.
Accantono quelli che mi sembrano da dovere poi approfondire e così apro la pagina di un'altra rivista. Scorro anche lì le pubblicazioni ma mi balza all'occhio che l'editoriale ripete il tema dell’editoriale che era già apparso nel New England Journal of Medicine.
Come, mi dico?, il JAMA ha lo stesso editoriale del NEJM? Controllo. Sì, è così.
A quel punto ritorno indietro e mi accorgo che si tratta effettivamente di un articolo molto importante firmato da una lunga serie di autori, Christine Laine, MD, MPH, Dianne Babski, MIM, Vivienne C. Bachelet, MD, MSc, Till W. Bärnighausen, MD, Christopher Baethge, MD, Kirsten Bibbins-Domingo, PhD, MD, MAS, Frank Frizelle, MBChB, MMedSc, Laragh Gollogy, MD, MPH, Sabine Kleinert, MD, Elizabeth Loder, MD, MPH, João Monteiro, MD, PhD.
Autori molto qualificati e che rappresentano istituzioni o catene editoriali o giornali scientifici di alto profilo. Assieme prendono posizione su un tema che è diventato evidentemente, e non solo per loro, di primaria importanza. .
All’articolo è posta una nota in fondo** che informa che è pubblicato contemporaneamente su numerose riviste: Annals of Internal Medicine, The BMJ, Bulletin of the World Health Organization, Deutsches Ärzteblatt (German Medical Journal), JAMA, Journal of Korean Medical Science, The Lancet, La Tunisie Médicale, The National Medical Journal of India, Medwave, Nature Medicine, New England Journal of Medicine, New Zealand Medical Journal, PLOS Medicine.
In pratica tutte le riviste a maggiore autorevolezza e impatto, oltre a una, per me curiosa, entry, la Tunisie Medicale che ha un Impact Factor di zero virgola: 0,53. Il fatto di essere di lingua francese e di appartenere ad un’area geografica diversa dal “triangolo d’oro”, Nord-America, UK, Oceania, evidentemente conta.
In filigrana si può leggere uno dei punti critici che emergono quando si cominciano ad affrontare tematiche globali. Come includere le culture, gli autori di lingua francese?; e più ancora, come includere culture, e autori, come da un lato gli africani e dall’altro i cinesi (e i russi)? i grandi quasi assenti dalle grandi raccolte associative e scientifiche internazionali.
Ricordo infatti che in più circostanze si è trattato il tema di decolonizzare la scienza e quindi di includere esperienze, culture e lingue attualmente divenute secondarie rispetto al dominio dell'inglese e delle istituzioni che fanno riferimento al “triangolo d'oro” (1).
E così in APA si è messo l'accento sull'esigenza di aprire i propri saperi in modo da connetterli a storie della medicina, della psichiatria e della psicologia sviluppate in altri contesti rispetto a quello che potremmo in senso generale definire l'Occidente.
Anche all'interno della Academy for Eating Disorders si è notata in più circostanze l'esigenza di trovare modi per avvicinare colleghi che operano sui nostri stessi temi nei teatri linguistici, culturali, sociali e politici dell'Africa o dell'Asia, dove, sia detto per inciso, cumulativamente risiedono la stragrande maggioranza degli abitanti di questa terra ma che nelle banche dati scientifiche trovano ben poco spazio neppure come campioni di ricerca.
Rimane che devono esserci motivi importanti, molto importanti, per spingere a prendere una iniziativa simile. Il cartello delle riviste scientifiche più accreditate al mondo si muove assieme per lanciare un allarme e spingere ad una azione correttiva.
Il tema in questione sono le cosiddette riviste predatorie.
Quindi e innanzitutto cosa dice questo editoriale che appare contemporaneamente in ben quattordici riviste scientifiche?
In breve sintesi l'articolo discute il problema delle riviste predatorie, che si presentano come riviste accademiche ma non rispettano gli standard di pubblicazione scientifica. Queste riviste ingannano autori e revisori, promettendo tempi di pubblicazione rapidi e trasparenza, ma spesso non conducono una revisione paritaria (peer-review) o non pubblicano affatto gli articoli nonostante il pagamento delle tariffe richieste per la pubblicazione. Le pratiche predatorie mettono a rischio autori, istituzioni accademiche, riviste legittime, il processo di pubblicazione scientifica, la scienza e il pubblico.
Gli autori, le istituzioni e gli editori devono essere consapevoli di queste riviste e adottare misure per evitarle e contrastarle.
Succede infatti che un numero crescente di soggetti si spacci per riviste accademiche. Attraggono autori, ottengono status e guadagnano.
Ne traggono un guadagno economico.
Queste riviste non rispettano gli standard di pubblicazione accademica indicati dall'International Committee of Medical Journal Editors (ICMJE).
Si tratta perciò di riviste "predatorie" o "pseudo-scientifiche".
Si muovono in un campo che vorrebbe essere regolato dai criteri dello ICMJE, senza né appartenervi né rispettarne appunto, i criteri.
Si muovono nel campo della scienza senza rispettare le regole che il mondo scientifico più accreditato si è dato e ha dato.
C’è quindi una questione legata al valore e al rispetto dei criteri che riconoscono gli appartenenti alla scienza.
La questione è delicatissima: ha a che fare con i principi di qualità, di trasparenza e di attendibilità che dovrebbero tutelare i fruitori a vario titolo dei contenuti veicolati dalle riviste scientifiche. La fiducia dei fruitori dei contenuti scientifici si basa sulla convinzione che i suoi prodotti rispettino i criteri di onestà, correttezza, integrità utilizzati nell’applicazione dei metodi tipici della scienza come ce li ha trasmessi Galileo sulla base della visione di Bacon.
Risultano intaccati i criteri con cui chi legge si avvicina alla letteratura scientifica.
Si pensi all’inondazione di cattivi risultati sparsi sulla popolazione generale col diffondersi di fake-news che intorpidiscono e polarizzazione ancor più il già caotico e conflittuale contesto sociale nazionale e internazionale in cui trovano ascolto, e che ascolto!, terrapiattisti e no-vax di vario colore.
Si pensi alle malpractice che possono essere indotte in professionisti che leggono e si ispirano ai prodotti diffusi dalle riviste scientifiche “ufficiali”.
Si pensi ai danni alla formazione degli studenti che desiderano intraprendere qualcuna delle nostre professioni e che possono essere indotti a credere a prodotti scientifici raccolti con criteri non conformi a quelli della scienza.
Si pensi ai vari stakeholder, ai paganti istituzionali o assicurativi o privati che potrebbero arrivare a negare il riconoscimento e il finanziamenti a team o agenzie che seguono i criteri della buona scienza dirottandoli verso chi quei criteri non segue perché preferisce quelli usciti dal fiume delle riviste predatorie.
In sintesi si può dire che la diffusione scientifica ad opera delle riviste predatorie minaccia la democrazia.
Insomma il cartello delle riviste scientifiche che unitamente diffondono lo stesso editoriale suona alla resistenza contro il diffondersi della “barbarie scientifica”.
Sul piano finanziario, non si può non notarlo, le riviste predatorie fanno concorrenza alle riviste riconosciute dallo ICMJE.
Il mercato della scienza si è allargato notevolmente e consente a grandi gruppi editoriali di avere bilanci da capogiro.
Si veda al proposito la pubblicazione di De Fiore Luca (2024) “Sul pubblicare in medicina; impact factor, open access, peer review, predatory journal e altre creature misteriose”, Il Pensiero Scientifico editore, Presentazione di Richard Smith.
Del libro di De Fiore ho pubblicato una recensione su www.umbertonizzoli.it
Il problema è rilevante perché il numero di riviste predatorie pare sia diventato gigantesco. Benchè sia difficile da determinare con precisione, le riviste in oggetto sono stimate in oltre 15.000.
Una vera boscaglia, un oceano, di riviste “scientifiche”.
Rappresentano una fetta del mercato delle pubblicazioni enorme. Per pubblicare un articolo in una rivista scientifica gli autori si vedono richiedere somme importanti che possono arrivare a 4 o 5mila dollari. Globalmente il mercato delle riviste predatorie si divide un ammontare di oltre un miliardo di dollari l’anno.
Ecco spiegato un perché dell’allarme: c’è una grossa massa finanziaria in gioco.
Ci sono migliaia di autori che mandano i loro lavori a queste migliaia di riviste predatorie. E pagano. A volte di tasca propria, più spesso usando una parte del finanziamento ottenuto per lo svolgimento della ricerca che presentano. Se hanno ottenuto un finanziamento da privati, aziende o altro, il costo della pubblicazione farà parte del loro finanziamento, se il finanziamento arriva da un organo pubblico, un ministero, una regione, un ospedale, sarà di fatto questo organismo il pagante. Nel caso del finanziatore privato si può supporre che dalla pubblicazione trarrà qualche beneficio di tipo pubblicitario (o di altra natura). Nel caso dell’organo pubblico il pagante finale è il cittadino con le sue tasse.
Sebbene le Raccomandazioni dell'ICMJE includano avvertimenti sulle pubblicazioni predatorie, il Cartello sostenitore dell’editoriale di Laine e coll. ritiene che il gran numero di entità predatorie sempre più audaci giustifichi di metterle in luce e di considerare le azioni che le parti interessate possono intraprendere per contrastare i loro tentativi ingannevoli.
Le pratiche che queste entità impiegano includono una sollecitazione aggressiva di invii di manoscritti; la promessa di tempi di pubblicazione estremamente rapidi; la mancanza di trasparenza sull'invio degli articoli, l'elaborazione e persino le spese di ritiro dei “manoscritti” (uso il termine adeguato per il cartaceo benché oggigiorno tutto avvenga in via telematica).
Le riviste predatorie possono affermare di seguire legittime pratiche editoriali e di pubblicazione, ma in realtà non conducono una revisione paritaria o funzioni quali l'archiviazione dei contenuti delle riviste, la gestione di potenziali conflitti di interesse, l'abilitazione delle correzioni e la risposta tempestiva alle richieste degli autori.
In casi eclatanti, gli articoli "pubblicati" non vengono mai pubblicati nonostante gli autori abbiano pagato le tariffe richieste.
Le riviste predatorie spesso utilizzano nomi di riviste e caratteristiche di branding che imitano riviste affermate.
Insomma sarebbe un campo pieno di truffe.
Benvenuto quindi questo editoriale: speriamo sollevi il velo su un mondo non sempre ben conosciuto e aiuti ad affermare l’integrità della scienza.
Detto chiaramente che sono a favore dei contenuti dell’editoriale di Laine e coll., non posso esimermi da fare una serie di riflessioni che, spero, allarghino finalmente il dibattito sulla scienza sia nel mondo scientifico sia al suo esterno, stante che la scienza è da decenni il volano principale di sviluppo, o inviluppo, delle nostre società.
Riprendendo in mano il testo di De Fiore si scopre che le critiche, documentate, che muove al mondo ufficiale della scienza si sovrappongono in larga parte a quelle che Laine e coll. addebitano alle riviste predatorie nell’editoriale delle 14 riviste citate.
Come dice un vecchio proverbio di origine contadina, verrebbero attribuite al vicino di casa le stesse condotte deleterie seguite dal moralizzatore.
Parlare a nuora perché suocera intenda.
Tutto il mondo della scienza che si è costruito in questi ultimi decenni ha bisogno di una seria revisione per correggere le distorsioni che si sono accumulate.
Ne ho parlato in una serie di consessi, ma prima e meglio di me ne hanno parlato (tra i tanti) APA, Conference 2023 e 2024 presidential speechs, Gone J., 2021, ancora APA framework on EDI, sept 2021.
C’è bisogno di ridiscutere i principi di sviluppo della scienza basati sempre più e quasi solo sulla accumulazione (sempre più dati, di origine discutibile, e meno creatività e intuito); c’è bisogno di ridefinire i limiti e i parametri del linguaggio scientifico; c’è bisogno di ridefinire dimensioni, composizione, timing dei campioni di ricerca; c’è bisogno, come chiarisce De Fiore, di aprire il vaso di Pandora della mercantilizzazione della scienza.
A livello più generale si pone la questione se lo ICMJE detenga correttamente il potere di stabilire quali e come i journal entrino a far parte del mondo scientifico.
Siamo certi che non sia il cartello, un cartello, che già dalla composizione lascia ombre sul potenziale conflitto di interessi?
Come nascono i raggruppamenti di coloro i quali redigono i criteri di accesso lascia a volte interdetti.
A volte ci si può trovare inclusi e benaccetti o esclusi e interdetti sulla base di simpatie e conoscenze personali.
Gli esempi che lo attestano, in istituzioni, università, centri di ricerca, riviste, società sono quasi infiniti e testimoniano che le preferenze (le simpatie), anche quelle degli scienziati, contano nel definire i limiti, i cerchi, dell’inclusione o dell’esclusione.
In teoria non ne è escluso neppure il ICMJE di cui, praticamente pochissimi conoscono modi di nascita, soggetti proponenti, criteri di adesione successivi, definizione dei percorsi di elaborazione, insomma tutta l’ossatura del Comitato. Eppure i criteri che emette per la pubblicazione sono diventati i parametri che distinguono la buona scienza da quella farlocca.
Prendere per vere e assolute le direttive, le raccomandazioni e le linee-guida che ne escono equivale un po’ ad un atto di fede. Anche se le stabilisce lo ICMJE.
Facile, soprattutto in un periodo di drammatiche polarizzazioni, accreditarle come prescrizioni di parte, quindi prevaricanti, non rispettose delle diversità.
Non c’è bisogno di citare 1984 di Orwell col suo Ministero della Verità per capire che serve una radicale rifondazione dei principi su cui sviluppiamo le nostre società. Sempre che non si preferisca rinchiudersi all’interno di una torre eburnea, ah! quante volte da Adorno in poi si è usata questa metafora per riferirsi al mondo della scienza.
Noi non possiamo chiuderci se vogliamo provare, almeno provare, a dare un futuro di inclusione e di nuova giustizia e crescita alle nostre società.
Su un altro piano c’è da rimanere colpiti negativamente dall’impressionante numero di riviste predatorie.
Se ne stimano 15mila operanti nell’anno 2021! Quindicimila; un numero ben più alto di quello delle riviste accreditate dallo ICMJE.
Se esistono tante realtà non basta che vi siano tanti accalappiatori che seducono, coi loro richiami, gli autori, poveri ignari soggetti turlupinati.
Servono, e evidentemente esistono, molte migliaia di autori che sottopongono a quelle riviste i loro lavori. E che pagano per farseli pubblicare! Forse molti di loro sono consapevoli dell’alone di incerta scientificità delle procedure del pubblicare, ma alla rivista predatoria cui si rivolgono chiedono di essere pubblicati.
L’argomento non è quindi più primariamente, cari autori guardatevi dai tanti editori che si spacciano dirigenti riviste scientifiche, cosa che, sia chiaro!, va fatta, ma come mai ci sono tante migliaia (centinaia di migliaia) di autori che si adattano (preferiscono, scelgono) ad inviare i loro lavori a riviste predatorie.
Perché lo fanno?
Perché vogliono pubblicare.
Probabilmente prima hanno inviato i loro articoli a qualcuna delle riviste “ufficiali” ma si sono visti respingere i loro lavori.
A proposito, se il cartello adottasse criteri di selezione meno stringenti accoglierebbe più richieste di pubblicazione e metterebbe meno autori nelle mani delle PJ.
Ne andrebbe però della serietà delle procedure e della qualità dei prodotti. Verrebbero applicati metodi ormai diffusissimi nel mercato: abbassare i costi e aumentare l’efficienza.
Anche adottando policy editoriali più permissive non eliminerebbero ugualmente il problema. Bisognerebbe che gli autori che si vedono respinti i loro prodotti dalle riviste ufficiali rinunciassero al pubblicare. Cosa totalmente irrealistica, costoro scrivono per essere pubblicati, non per essere cassati.
Inoltre anche nella ipotesi di procedure più accomodanti rimarrebbe il divario fra richiedenti e possibilità di pubblicazione. Il mercato delle PJ si ridurrebbe ma rimarrebbe ugualmente florido.
C’è detto in altre parole, una folla enorme di autori fuori dai cancelli delle riviste scientifiche “ufficiali”. Come orde clamanti, questi autori vogliono pubblicare e pur di farlo si rivolgono alle riviste predatorie, alimentando quel mercato che è oggetto di reprimenda da parte dell’editoriale in esame.
Non basta perciò mettere all’indice le 15mila, o giù di lì, riviste predatorie.
Sia detto per inciso, larga parte di queste riviste se avessero potuto rispettare i criteri ICMJE avrebbe raggiunto i consessi “ufficiali”.
Se non ci fosse però quella o quell’altra rivista predatoria perché bonificata dal rispetto dei criteri ICMJE ce ne sarebbe un’altra che ne va ad occupare lo spazio.
Spazio che è composto, lo ripeto, da un numero impressionante di autori. Una folla di centinaia di migliaia di autori, o meglio, di scrittori, che vogliono diventare autori pubblicati.
Logico che un numero così impressionante di “scienziati” che pagano per pubblicare i loro lavori rappresenta un mercato interessante per l’imprenditoria editoriale.
Ecco spiegato il bosco, l’oceano, di riviste predatorie.
Tuttavia il problema di fondo che muove questa perversione è il bisogno di centinaia di migliaia di poveri autori che vogliono essere pubblicati. Dico poveri perché il loro comportamento lascia intendere una spinta incontenibile, una pulsione più che un desiderio, a farsi anche spennare pur di vedersi pubblicare.
Da dove deriva tanta bulimia?
Pubblicare per questi autori “sodomizzati” è evidentemente una esigenza. Publish o perish.
Si fatica a vedere l’effetto perverso del “publish or perish” che sta mortificando con la babele di prodotti “scientifici” alcune tra le più visionarie e avanzate formule che avevamo conquistato nella seconda parte del secolo scorso?
Noi che abbiamo creduto nella Qualità in sanità (2), nel Miglioramento continuo (3), nelle EBM (4) e poi nelle grandi banche-dati non ci sentiamo traditi dal perverso metodo del publish or perish che serve per fare carriera, per essere conosciuti e rispettati, per far credere di essere importanti?
No! Non si fatica a vedere che le cose ci sono sfuggite di mano.
Volevamo la Qualità, la selezione, il meglio, l’efficacia delle cure e ci troviamo immersi nelle bulimia arraffona di tanti disperati che per essere assunti, promossi, creduti assediano l’editoria, quella “ufficiale” e, visto il numero degli assedianti, quella predatoria.
L’editoriale di Laine e coll. è una grande opportunità per aprire le finestre e ripensare i processi di sviluppo della scienza dalle loro basi.
C’è bisogno di mettere al centro del dibattito l’integrità della scienza.
Servono sì enti regolatori, ma terzi, cioè esterni ai contenitori in cui gli autori “bulimici” e il mercato dell’editoria operano.
Fin che saranno invece largamente condizionati dalla loro presenza, non cambieranno i criteri e la babele accumulativa crescerà.
Evviva la scienza! Come ce l’hanno insegnata Piero, Bacon e Galileo!
La scienza è percorsa da energia, ricerca, competizione.
Non credo che ci sarà un giorno in cui si impedirà a chi vuole di scrivere e di pubblicare. Non è stigmatizzandoli che questi autori spariranno.
Si tratta forse allora di trovare il modo di ascoltare, leggere, questa marea di articoli "ciarlatani": un’energia da recuperare e interrogare piuttosto che stigmatizzare e rifiutare.
Quanti inoltre sono gli autori che pubblicano al di fuori di questo cerchio composto da riviste che seguono i criteri ICM e le PJ? In riviste edite nelle lingue degli autori, intendo. Autori che preferiscono il teatro ristretto della loro nazione o del loro gruppo linguistico? Un numero imprecisato ma enorme.
L’editoriale di Laine e coll. Neppure li considera, non partecipano al circolo dell’accumulo; fanno parte di un angolo di mercato che forse non segue le stesse regole. Si scrive, e si legge, nella lingua madre; forse non si paga per farsi pubblicare.
Emerge quindi in conclusione che esiste globalmente un grande numero di autori di ambito scientifico. La più parte scrive e pubblica nella lingua-madre o in quelle per loro note. Una parte minore entra nel mercato, pago per pubblicare e ottengo crediti. Una parte ancor più ristretta pubblica nelle riviste accreditate IC . Sembra una gerarchia delle fonti, e forse, lo è. Perché scandalizzarsi allora? Chi occupa il vertice di questa gerarchia cosa vorrebbe, che gli altri sparissero? Non è credibile. Non c’è nessuna ragione per cui lo facciano. A che pro allora l’editoriale di Laine e coll.? Per fare sapere che esiste una gerarchia delle fonti ai cui vertici ci sono le riviste che l’hanno ospitato? Temevano che non si sapesse? Lo si sa perfettamente.
Temevano forse e invece che le PJ fossero considerate di pari valore. In sintesi si potrebbe intendere un appello ai lettori, c’è “roba buona” e altra, le PJ meno buona. Leggete noi e non loro.
Mi pare l’unica conclusione credibile. L’altra che vorrebbe immaginare di interrompere la fila di autori questuanti di essere pubblicato non sta proprio su.
- Bryant T., presidential speech, APA 2023,
- Sert of Reggio Emilia, ISO 9000, Det Norske Veritas, january 2000 – first Italian Drug Abuse Unit certified
(2) Sackett DL, Rosenberg WMC, Gray JAM, Haynes RB, Richardson WS. (1996) Evidence-based medicine: what it is and what it isn't . BMJ 312: 71-2.
(4) Haynes RB, Sackett DL, Gray JM, Cook DJ, Guyatt GH. (1996) Transferring evidence from research into practice: 1. The role of clinical care research evidence in clinical decisions [Editorial]. ACP J Club; 125 (Suppl 3): A14-A16
*Predatory Journals. What Can We Do to Protect Their Prey?
Christine Laine, M.D., M.P.H., Dianne Babski, Vivienne C. Bachelet, M.D., M.Sc., Till W. Bärnighausen, M.D., Christopher Baethge, M.D., Kirsten Bibbins-Domingo, Ph.D., M.D., M.A.S., Frank Frizelle, M.B.Ch.B., M.Med.Sc., +8, and Lilia Zakhama, M.D. Published January 6, 2025
DOI: 10.1056/NEJMe2415937
** Editor’s note: This article is being simultaneously posted at ICMJE.org and published in Annals of Internal Medicine, The BMJ, Bulletin of the World Health Organization, Deutsches Ärzteblatt (German Medical Journal), JAMA, Journal of Korean Medical Science, The Lancet, La Tunisie Médicale, The National Medical Journal of India, Medwave, Nature Medicine, New England Journal of Medicine, New Zealand Medical Journal, and PLOS Medicine.
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La rottura della simmetria, il clinamen di Lucrezio dà vita all'evoluzione
Leggi tutto: evoluzione senza fini. Da una lettura di Telmo Pievani