La crescente diffusione di programmi come ChatGPT sta sollevando profondi interrogativi sull'impatto che l'intelligenza artificiale avrà sulle nostre vite.
Come cambierà il mondo del lavoro?
Sistemi generativi prenderanno il sopravvento sulla nostra creatività?
Esiste il rischio che le macchine si ribellino ai loro creatori?
Ci si innamorerà mai di un robot?
Non prendere appieno l'intelligenza artificiale richiede innanzitutto avere una profonda conoscenza di che cos'è l'intelligenza naturale dell'uomo; è solo illuminando i misteri della nostra mente che possiamo apprezzare appieno l'interazione fra uomo e tecnologia.
Se i sistemi generativi con la loro memoria sconfinata e la capacità di effettuare calcoli probabilistici possono ormai da tempo superare le nostre capacità, classico è l'esempio della vittoria di AlphaGO al gioco di GO emergono però limiti significativi quando si tratta di utilizzare creatività e pensiero innovativo.
È vero che i computer sono sempre più in grado di simulare il linguaggio e il comportamento umano, tuttavia il loro modo di procedere è basato su statistiche e su correlazioni e non è lontanamente paragonabile alla costruzione dei modelli mentali che utilizziamo noi umani per i nostri ragionamenti.
Ma chi dominerà alla fine, l'intelligenza artificiale o quella umana?
Spetta a noi decidere bilanciando la nostra flessibilità e capacità di apprendimento con la consapevolezza dei rischi e delle sfide che l'era dell'intelligenza artificiale ci presenta.
L'intelligenza umana è il risultato di un processo che dura da centinaia di migliaia di anni ed è il frutto dell'adattamento lento e graduale all'ambiente in cui l'uomo si è trovato a vivere.
La memoria di lavoro umana ha bisogno di accorciare la strada delle sue operazioni perché non reggerebbe una quantità di informazioni grande.
La mente umana si inganna continuamente, si sopravvaluta, ha over-confidence come spiegato Kahneman, il famoso psicologo premio Nobel, alla tendenza a costruire modelli semplicistici della realtà che ci conducono a trascurare quelle future eventualità negative che spesso invece poi si verificano.
Inoltre ha un processo di localizzazione e focalizzazione a concentrarsi cioè su poche cose scelte emotivamente.
L'intelligenza umana si è evoluta nella sua storia di costruzione a seguito in migliaia di anni in modo da sapere gestire anche l'incertezza più assoluta che deriva dalla presenza di un caso singolo mai incontrato prima. Si cerca di saltarci fuori in qualche maniera, noi Italiani poi sembriamo specialisti in questa capacità.
L'intelligenza artificiale sarebbe paralizzata.
Il mondo è fatto di cose che non sappiamo e di cose che non sappiamo neppure di non sapere. In tutti questi casi l'uomo può fallire, ma può anche avere successo.
Incontra novità inaspettate, le affronta con occhi nuovi; sa decidere limitandosi alle informazioni recenti e rilevanti.
Sa scartare l'irrilevanza e sa trovare cose mai pensate o formulate prima. In una parola l'uomo è creativo.
L'intelligenza delle macchine è costretta a servirsi di quello che si trova in rete, mentre l'intelligenza naturale è capace di inventare di sana pianta spiegazioni nuove relative a eventi mai verificatisi prima; cioè noi umani possiamo ragionare indipendentemente dalle probabilità statistiche
Quindi non c'è l'ipotesi del cervello bayesiano; eppure la mente opera in modo bayesiano di fronte ad eventi che si è stati capaci di sentire / immaginare.
L'intelligenza artificiale è priva di coscienza e quindi è priva anche di inconscio.
Qui si apre la consistenza e la logica dell’inconscio.
Riflessioni leggendo Legrenzi Paolo, L'intelligenza del futuro, Frecce Mondadori 2024.
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