A Parigi è accaduto un attentato terroristico drammatico a chi irrideva del modello religioso islamico. Un enorme disastro provocato dalla mano dell’uomo. Uomini esaltati in preda ad una furia vendicativa hanno distrutto le vite di due decine di persone bersagliate perché ritenute colpevoli di lesa maestà al loro dio o perché si trovavano per caso sulla strada degli assassini.

L’enorme disastro ha colpito persone inermi la più parte delle quali precedentemente non avrebbe creduto possibile un evento del genere. E’ stata un’eruzione di esperienza traumatica che ha distrutto all’improvviso le loro vite ed ha gettato in un indicibile sconforto i loro cari colpiti da un lutto tragico, inaspettato, crudele.

Ma il lutto ha colpito solo i congiunti delle vittime? No, ne sono rimasti colpiti i soggetti che appartengono alle loro cerchie relazionali, ma ne hanno subito anche i parigini. Sentivo nei giorni scorsi i miei tanti amici parigini ed era palpabile che anche la sola espressione di cordoglio li rincuorava un po’. Stavano vivendo uno stato di smarrimento di chi si è visto saltare le proprie abitudini e le proprie sicurezze. Potevano stare tranquilli da lì in poi? e andare in metrò era ancora sicuro? o a un mercato, a una stazione? E via scorrendo i luoghi diventati all’improvviso sospetti, insicuri.

Altrettanto visibile erano i sentimenti di rabbia, di sete di giustizia. No, non si può consentire a chicchessia di effettuare violenze simili.

Tutta la Francia è stata colpita ed ha reagito scendendo in piazza, un grande rito collettivo di reazione a chi ha causato quel disastro; un grande urlo contro la paura; un grande muro contro chi volendola aggredire deve sapere che non gli sarà facile. Anche qui l’espressione di amicizia e di vicinanza ai francesi è una manifestazione utile per rinsaldare gli animi scossi dal terremoto del terrorismo e per ridare basi di nuovo sicure a chi si è visto saltare il mondo in casa.

Ma quel terrore ha colpito solo i francesi? No,come in una stratificazione a cipolla ne siamo rimasti colpiti anche noi, gli Italiani ma anche gli altri europei e gli occidentali e, seppure in grado minore tutto il mondo che ne è stato informato.

Ecco che gli episodi di Parigi sono come un grande tsunami che diffonde con le sue onde la paura e lo stress in tutto il mondo. Come in uno tsunami chi era più vicino alla tragedia ha subito un urto maggiore e chi invece era più lontano ne ha sentito echi di intensità minore.

Il punto è che quell’urto può mettere a repentaglio le sicurezze di molti. Né più né meno che come in un terremoto ci sono danni più o meno gravi a seconda delle zone ed a seconda dei colpiti. Alcuni probabilmente hanno tratto conseguenze severe sul proprio stato di salute; chi era già fragile può averne tratto esiti anche molto infausti, altri meno fragili ma non poi tanto resilienti vedono compromessa la qualità del loro vivere.

Era successo esattamente così anche in occasione dell’11 settembre. Si era diffusa una epidemia di sofferenza emotiva e di disturbi del comportamento. Ed anche lì la diffusione dei danni da stress acuto erano stati distribuiti a cipolla: più sei vicino e coinvolto e più l’angoscia è alta, ma anche chi ne è lontano non è immune: le ondate emotive gli arrivano e possono causare danni e peggioramenti esistenziali. Purtroppo ormai si sa, ma si fa fatica a parlarne. Più facile fare i discorsi politici; i proclami sono ideologie da falsa coscienza di chi di solito scappa dalla realtà costruendo grandi scenari, zeppi di affermazioni roboanti: alibi per coscienze indebolite che millantano soluzioni definitive, tanto epocali quanto fasulle.

Ma la realtà è purtroppo più dura e più resistente. Perché al di là delle alzate di scudi da sceriffo dei filmati di cartapesta, rimangono il dolore ed il bisogno di ricostruire, di ridare sicurezza a chi l’ha perduta. Come in un terremoto bisogna ricostruite le case qui bisogna restaurare le personalità lese dallo tsunami del terrorismo.

Ed i danni possono protrarsi a lungo, rovinare vite e relazioni anche per molto tempo; in certi casi per il resto della vita.

Come spesso ci capita di osservare poco si è fatto per prevenire o per contenere i danni del terrore. Si scopre che si sapeva ma non si è tenuto in considerazione; che molti passaggi sono avvenuti senza il rispetto di criteri che avrebbero, se non scongiurato, almeno reso meno consistente l’attacco. L’elenco di inadempienze riempie le pagine dei giornali; da lì traggono linfa i giustizialisti che vogliono sanare le ferite addossando le colpe a qualcuno che finisce con l’essere un capro espiatorio.

In un fumetto che amavo tutte le avventure si concludevano con il ritrovamento del colpevole. Era sempre quello, Stanislao Mulinskj. Trovato il colpevole la vita poteva riprendere bella come prima; ma era un fumetto per ragazzi. La vita vera invece ha la carne ferita, nel profondo, nelle solitudini, nell’indicibile, nei sintomi fisici ed in quelli mentali.

Bisognerebbe sempre imparare dall’esperienza. Come è successo già, è probabile che anche in questo caso ci siano persone che portino e che porteranno a lungo i segni del trauma. Come si è provveduto a mettere in atto una struttura per l’intervento di contenimento dei danni provocati dalla natura o dagli umani, bisognerebbe costruire una struttura per fronteggiare i danni psichici, relazionali e fisici delle vittime di situazioni di stress acuto.

Si tratta di pensare a strutture leggere, ad alto software senza fare nuovi servizi con tanto di capi o di burocrazie. Ci vogliono coalizioni di cura per aumentare la resilienza delle comunità.

Una alleanza fra agenti e soggetti attivi nel sociale allo scopo di identificare le situazioni critiche e per sviluppare le relazioni umane finalizzate a mitigare le vulnerabilità individuali, riducendo le conseguenze negative per la salute e per aiutare la comunità a recuperare più rapidamente sicurezza e fiducia. Senza di esse nessuna società è florida.

Si inizia identificando le persone e le organizzazioni che nella comunità locale si occupano di cure fisiche e mentali: i medici, i professionisti della salute mentale, gli altri professionisti o paraprofessionali, cruciali sono quelli che curano i tossicodipendenti o le persone affette da dipendenza patologica. Fondamentali sono le agenzie di volontariato ed i gruppi di fedeli. Tutti costoro vanno addestrati a fronteggiare gli effetti del trauma acuto. Ne riparleremo.

Purtroppo viviamo un’epoca in cui manifestazioni tragiche sono possibili. Bisogna saperle fronteggiare. Formando una coalizione efficace ed esaminando questi problemi ora, è possibile promuovere una risposta più efficace e, in ultima analisi, costruire una comunità più resiliente in cui è più bello vivere.

Umberto Nizzoli