Ho cominciato fin da ragazzino a comprendere che il concetto di verità è incomprensibile.

Questa una delle frasi sconcertanti di questo straordinario libro scritto nel 1934 che dovrebbe essere introdotto in tutte le scuole di  fisica, chimica, biologia ma anche di medicina e psicologia perché mette in chiave i confini dell'approccio scientifico.

Il bisogno di scienza è soprattutto per la sua natura predittiva.

Le teoriche scientifiche sono vere solo in quanto

ottengono esiti pratici; nel caso in cui i risultati siano equivalenti, scegliamo quella che è più semplice ed economica.

Occorre però non sedersi sulle frasi fatte, sui pregiudizi, sulle continuità – abitudini, pigrizia - ma chiedersi con spirito critico quale sia il significato di qualsiasi concetto.

Il che vuol dire analizzare i motivi profondi e essenziali che hanno costituito, sia pure inconsciamente, lo scopo per cui quel concetto è stato introdotto e che spiegano la ragione intima della sua utilità.

Già a partire da “Probabilismo” De Finetti si rifaceva all'intuizioni di Laplanche sulla scienza e l'ipotesi dove diceva che il metodo delle scienze fisiche poggia sulla induzione in virtù della quale ci attendiamo la ripetizione di un fenomeno quando si riproducono le circostanze in cui quel fenomeno aveva avuto origine la prima volta.

Tuttavia il linguaggio potrà cadere, tutte le circostanze riprodotte mancheranno assieme, altre si alterneranno, altre spariranno e noi stessi non siamo mai uguali, da un minuto all'altro.

Ecco perché, al posto di una scienza supponente, occorre assumere come strumento fondamentale una logica flessibile elastica viva e psicologica in luogo di una logica ordinaria categorica rigida fredda. Acquisire una logica probabilistica.

Ovviamente il riferimento è l'uso della probabilità secondo Bayes.

La probabilità è il grado di fiducia sentito da un certo individuo nell'avverarsi di un dato evento. Vi è sempre una componente di soggettività nella scelta della probabilità ritenuta più probabile e quindi più scientifica.

In linea generale la probabilità che accada un evento è  il rapporto tra il numero dei casi in cui quell'evento è accaduto e il numero totale dei casi possibili.

Occorre e quindi star lontani dalle frasi fatte dai pregiudizi del tipo, casi cosiddetti ugualmente probabili, casi come la natura prevedeva o altre fantastiche del genere.

Per fare l'analisi occorre individuare una classe di eventi, ma la scelta (la formazione) di una classe è assolutamente arbitraria.

L'unificazione in una classe di una serie di elementi avviene per la scelta arbitraria di un elemento, tipo quando si fanno le ricerche epidemiologiche e si sceglie la diagnosi, mettiamo l’anoressia nervosa e si inglobano all'interno di questa classe tutti coloro i quali hanno ricevuto questo tipo di diagnosi ma alcuni potrebbero esser danesi altri greci, alcune basse o alte, più o meno giovani, di famiglia più o meno agiata, bocciate o ripetenti o iperperformanti. Insomma potrebbero avere tanti altri elementi che le farebbero appartenere a classi ben differenti.

Vi è cioè un'arbitrarietà nell'identificare il campo di osservazione scientifica.

Altrettanto arbitrario è il concetto di prove di uno stesso fenomeno.

Ecco allora che la migliore probabilità è il limite della frequenza al crescere del numero delle prove.

Ma questa spassionata difesa del soggettivo sentire che fonda l'approccio probabilistico scientifico rischia di tradursi in un elogio del capriccio?

La definizione di probabilità deve però nutrirsi del principio di coerenza, il che conclude che qualsiasi assegnazione purché sia coerente rappresenta una opinione in se stessa legittima; per cui ogni individuo è libero di far propria quella che preferisce o meglio quella che sente giusta.

E qui il ragionamento precisa il senso e il modo in cui si fanno le previsioni basate sulla probabilità. Si basano sull'esperienza e precisamente sull'osservazione della frequenza dei successi in numero possibilmente grande di casi analoghi a quello di cui ci interessa prevedere il risultato.

Il che porta a dire che ogni risultato modifica le successive previsioni influenza perciò la valutazione scientifica.

Beffardamente De Finetti scrive: la scienza intesa come scopriritrice di verità assolute rimane dunque e naturalmente disoccupata per mancanza di verità assolute.

Questo non porta a distruggere la scienza, porta solamente a una diversa concezione della scienza.

Dove solamente si fa per dire: le osservazioni sono molto profonde.

La probabilità è la nostra guida nel pensare e nell'agire in situazioni di incertezza e siccome l'incertezza è ovunque, la logica del probabile è la logica dell'incerto nella vita quotidiana nelle piccole e nelle grandi cose come nella scienza.

E la logica dell'incerto del probabile, la logica che regola la previsione e che rappresenta l'ingrediente ineliminabile della formazione dei controlli di quelle regolarità che i fisici abitualmente chiamano leggi.

Il seme della conoscenza, il desiderio per la ricerca e la curiosità attecchiscono là dove vive l'invenzione che questa poggia non su solide ma su fragili basi.

Si vede che tutto è costruito su sabbie mobili benché naturalmente si cerchi di poggiare i pilastri sui punti relativamente meno pericolosi.

Tutto parte dalle nostre sensazioni e dobbiamo inventare il mondo per inquadrarvi le nostre sensazioni.

Prefazione magistrale di Giulio Giorello e giordano bruno

De Finetti è durissimo nell’affermare che qualche verità filosofica nota o da scoprirsi possa avere un valore assoluto ed eterno: è una illusione diffusa inveterata e tenace che ha costituito e costituisce il maggiore inciampo per la scienza, dice.

Non vi è più nella previsione scientifica una certezza assoluta, vi è soltanto una certa probabilità che può al massimo divenire tanto grande da meritare il nome di certezza pratica, ma non diventerà mai assoluta.

I concetti vengono inventati da noi; non provengono da nessuna rivelazione super naturale. Non possiamo quindi cercare la spiegazione di un concetto qualsiasi all'infuori e indipendentemente dal quadro delle nostre sensazioni ed esperienze.

Vale quindi semplicemente analizzare i motivi profondi ed essenziali che hanno costituito, sia pure inconsciamente, lo scopo per cui quel concetto è stato introdotto e che spiegano la ragione intima della sua utilità. Ma la spiegazione di un concetto non può mai considerarsi definitiva, non solo perché possono sempre cadere in difetto le ipotesi in base a cui la sua utilità era stata giudicata, ma anche perché nuove conoscenze, che pur non intaccano la precedente spiegazione, possono spingere ad approfondirla o a ritoccarla.

L verità matematiche non sono tautologie e non sono quindi verità sperimentali. Perfino il concetto di verità dev'essere analizzato.

Quindi non rimane che la semplice diretta constatazione empirica, la constatazione cioè di un mio sentimento e di una mia sensazione.

Tutto però è intrecciato e a voler seguire un modo di esprimersi strettamente rigoroso si potrebbe dire addirittura che problemi nuovi non esistono poiché anzi non esiste che un unico problema: quello della concezione dell'intero sistema della scienza.

Delle nostre sensazioni si trae il materiale per formulare i nostri concetti che danno vita alla costruzione delle nostre logiche. Sono tutti processi di creazione umana, invenzioni.

Così le categorie, le loro sottospecie.

L'ipotesi da cui denunciamo le previsioni possono essere ridotte a puro ragionamento formale e se non sono deducibili dalle esperienze sono dunque arbitrarie?

No, risponde De Finetti, perché se sono plausibili verosimili probabili attendibili destano insomma un certo grado di fiducia in chi le applica.

E così le conseguenze del prodotto non sono certe ma sono probabili ricordandoci che l'assenza di plausibilità consisterà nel sentire un certo grado di fiducia nell'avverarsi di un determinato evento.

E qui si arriva a un fondo di pensiero: perché dobbiamo inventare il mondo per inquadrarvi le nostre sensazioni. Esso non è che il risultato provvisorio di uno sforzo di sintesi. Le nostre sensazioni, i nostri concetti fondamentali, a cominciare da quelli di tempo e di spazio, non saranno mai i protagonisti di una commedia finita ove ciascuno ha la sua parte e il suo ruolo. Saranno sempre i sei personaggi in cerca d'autore.

Anche qui riappare, riecheggia, il pensiero di Pirandello.

La nostra officina mentale risuona di una continua attività creatrice.

Dobbiamo definitivamente annientare il fantasma dell'a-priori. Ogni previsione è soltanto probabile.

La fonte gnoseologica della previsione e quindi del giudizio di opportunità sull'introduzione dei concetti e i quindi dei concetti stessi risiede nella teoria della probabilità.

Per il teorema di Bayes ne consegue che le probabilità che la frequenza complessiva e quindi la frequenza futura abbia da avallare quella osservata. Le recenti vengono a aumentare, mentre le probabilità di valori lontani diminuiscono. Perciò l'esperienza modifica l'opinione iniziale nel senso di influire, avvicinare, la nostra previsione a quella dell'andamento analogo a quello che abbiamo recentemente osservato.

Un processo inscindibile ci permette di concepire insieme il concetto di identità e il concetto di continuità.

Qui la consonanza con la psicologia è fortissima; in quanto il senso dell'io trae forza della continuità di sé e determina l'identità soggettiva.

Tenendo ben conto tuttavia che il concetto di identità è ambiguo e largamente convenzionale perché guardando un po' profondamente nulla rimane inalterato; lo stesso corpo nostro si rinnova di ora in ora e tutta la materia è diversa da istante a istante per l'incessante moto di atomi ed elettroni.

In conclusione non soltanto le leggi e le previsioni scientifiche non sono certe ma solo probabili, ma anche il fatto che certi schemi in cui riteniamo opportuno rappresentare i fenomeni come gli stessi concetti di spazio e di tempo e i criteri di misura delle distanze e dei tempi continuino effettivamente a mostrarsi opportuni o anche soltanto conservabili non è un fatto certo ma soltanto probabile per quanto possa essere immensamente probabile.

E da lì che la misura di tutte le cose si rifà alle scelte soggettive di prendere in considerazione alcuni parametri in un determinato tempo e sequenza, anziché altri e in altri momenti.

Facendo scelte diverse, se ne trarrebbero conclusioni diverse.

E’ la decisione del soggetto di misurare che determina il campo misurato.

commento a: De Finetti Bruno, l'invenzione della verità, Raffaello Cortina 2006