Come funziona la mente. Memoria, narrazioni di sé, identità. L’unità psicobiologica dell’essere umano.

In margine alla lettura del libro di Le Doux Joseph, I 4 mondi dell'uomo, R. Cortina, 2024

Un libro molto complesso pieno di spunti che ricostruiscono la storia della scienza della psicologia e delle neuroscienze con un fitto dibattito fra nuove ipotesi, ricerche, risultati di altri in confronto con la sua, quella dell'autore presente in molti di questi passaggi a partire da quando con Michael Gazzaniga introdusse l'idea di un cervello modulare.

I continui rimandi, le ridefinizioni, le contraddizioni stesse, le ipotesi spesso non sono che accenni di ipotesi non confermate da evidenza di dati e quindi rimangono come spunti di riflessione.

Lettura, studio, assolutamente interessante

tuttavia.

Cerca di affrontare i temi a partire dalla base: cosa é l'essere umano, com'è che si è sviluppato nella maniera in cui ci è sviluppato, quali sono i suoi antenati, quali i processi evolutivi, per quali ragioni essi siano intervenuti così come sono accaduti.

Siamo nell'ambito delle ipotesi anche se la traiettoria evolutiva segnata Darwin è assolutamente il riferimento. Qui però LeDoux vuole affrontare il senso della vita, vuole affrontare quindi il contributo della chimica, della fisica di base e di quella quantistica e vuole affrontare il tema della coscienza. Com'è che l'essere umano è cosciente? cosa significa coscienza? e come mai passa in una enorme quantità di elementi, di sensi, nella relazione col mondo, nei processi evolutivi a partire dall'infanzia fino all'età adulta con le patologie che disturbano lo sviluppo. LeDoux è alla caccia di tutte le connessioni.

Il contributo può essere notevole ma evidentemente è ancora una acerba suggestione, per quanto raffinata sia.

Perché immaginare che l'essere umano sia composto da quattro mondi di esistenza fondamentali autonomi e nello stesso tempo interagenti è, nella migliore delle ipotesi, una approssimazione perché, banalmente, l'essere umano è uno enon può essere la somma di 4 o l'integrazione di 4 o la miscelazione di 4. Quali 4 poi? l'aspetto biologico, l'aspetto neurobiologico, quello cognitivo e infine quello cosciente.

Il libro dibatte ipotesi di altri autori, li critica, ne fa propri in parte, ne prende le distanze; cerca cioè di mettere i parametri per fare vedere come si è sviluppata la sua percezione su cosa sia la coscienza.

Il sé, questa percezione che ognuno di noi sa di essere qualcuno, è qualcuno.

Ognuno usa questa idea, percezione, sentimento, senza avere chiaro come possa essere identificata, descritta e nemmeno collocata.

Eppure ognuno la prova senza sapere quando e come cominci. L’esperienza personale crea la nostra coscienza dicendoci che è semplicemente un’altra delle percezioni che l'essere umano fa; quindi noi abbiamo crediamo che abbiamo un Sé perché crediamo di avere un Sé.

Pura tautologia….o mistero.

Bisognerà fare un bagno di umiltà nei limiti della scienza. Ma questo è un altro discorso che riservo per un altro articolo.

Molti degli elementi di base su cui costruiamo le nostre interpretazioni sul funzionamento della mente sono ipotesi. Ipotesi, più o meno ricche affascinanti sghembe, ma solo ipotesi.

Perché ascoltarle? Perché abbiamo bisogno di credere di avere capito, troppo sarebbe il flusso ansioso, ci scompenseremmo.

Ma su tanti aspetti, quelli cruciali e fondamentali non abbiamo che ipotesi.

Che cos'è la personalità? come si sviluppa la personalità? E chi può rispondere in modo incontrovertibile? Nessuno.

Più spesso per descriverla si usano i 5 tratti, 5 elementi. Quei tratti che sembrerebbero meno modificabili nel tempo anche se poi l'esperienza clinica mette in mostra che la personalità si organizza nei contesti e ne è fortemente influenzata.

Ma i 5 tratti che sarebbero più permanenti sono l'apertura mentale, la coscienziosità, l'estroversione, la gradevolezza e il nevroticismo.

Nella loro, apparente, chiarificazione aprono un ventaglio, ognuno di essi, di quesiti.

Che cosa voglia dire la coscienziosità, tanto per parlarne di uno. Così anche gli altri elementi, tratti.

Altrettanto con le caratteristiche del temperamento, che sarebbe identificabile alla nascita secondo le tre configurazioni descritte da Cloninger.

Anche queste quando si dice, per vederne una, avoidance si apre un ventaglio enorme di modalità, di tempi, di situazioni in cui poterlo essere. Cosa significa essere avoidance in una situazione o in un’altra è così opinabile, soggettivo, da far sì che la sua configurazione unificata non sia altro che una teoria che può servire per dare una chiarificazione didattica.

Semplifico per rendere chiaro. Ma semplifico o invento? Immagino? Teorizzo?

E quanto c’entrano l’immaginazione, la teorizzazione con il pensiero scientifico?

Abbiamo avuto un grande, anzi un grandissimo, Bruno de Finetti che su questi temi ha scritto cose straordinarie. Anche questo però fa parte di un altro articolo.

La nostra è una scienza aperta alla continua ricerca, avvolta da enigmi sui suoi elementi fondanti. L'autore cerca di mettere dei punti fermi ma ne esce una caoticità di affermazioni che risulta fermo il fatto che l'essere umano ha - avrebbe - questi quattro pilastri posizionati come in una stratificazione che interagiscono tra loro dando vita a questa complessità multimodulare che è appunto la persona, che sarebbe la persona.

I molteplici tentativi di chiarificazione e di classificazione incontrano degli scogli insuperabili come ad esempio la somministrazione di test di personalità o di intelligenza o il tentativo di dare una descrizione delle personalità.

Studi recenti hanno dimostrato che quando somministriamo test correlati a capacità misurate dai test d'intelligenza o di personalità si formano delle associazioni dinamiche temporanee di reti neurali.

Queste reti non andrebbero considerate l'eternità di quel cervello che rendono la persona intelligente o meno oppure che siano o no una personalità o un'altra.

Piuttosto riflettono semplicemente l'attività di processi a monte che sono coinvolti quando si eseguono i test in questione. Questa è un'emergenza debole e non forte in azione.

Le risposte sono solo contestuali. Solo, sottolineo. Il che vuol dire che l’interpretazione, ammettendo che abbia fondamenti validi, vale per il momento in cui il soggetto ha dato quella risposta. Invece purtroppo quelle risposte vengono cristallizzate e finiscono con l’incasellare quella persona in una descrizione che non lo riguarda affatto per la stragrande maggioranza delle situazioni della sua vita.

Quanta fumisteria viene, ad esempio, usata nei procedimenti giudiziari per spiegare le sentenze.

Anche questo tema fa parte di un mio altro articolo.

Conoscenze che sarebbe bene diffondere in tutti quegli ambiti in cui invece i test servono per ingessare le persone, falsamente, teatralmente per ragioni cliniche e a volte giudiziarie.

Le cose si complicano anche quando si vuole valutare cosa gli esseri umani fanno.

Esistono diversi livelli di agentività, di responsabilità.

Ci sono molti livelli di controllo comportamentale nel cervello che coesistono, interagiscono, si sovrappongono, competono.

Noi siamo il nostro sé e il nostro sè siamo noi.

Non esiste nessun'altra entità da scoprire dentro di noi. Siamo semplicemente noi là dentro perché il nostro sé è semplicemente un'idea che costruiamo su chi noi siamo o, meglio, crediamo di essere.

E così su quel che facciamo. Abbiamo coscienze parziali e quindi il nostro libero arbitrio, che esiste, ha un raggio limitato perché buona parte del nostro controllo del comportamento avviene in maniera non cosciente.

I nostri corpi e i nostri cervelli sono personalizzati.

Nessun altro ha il nostro esatto corredo genetico né ha avuto gli stessi esatti eventi epigenetici che rendono unico il nostro sé incluso il nostro cervello e nessun altro ha avuto le esperienze identiche agli altri.

La salute e la vitalità dell'organismo dipendono dal metabolismo e dell'omeostasi che insieme sono l'omeostasi metabolica

Metabolismo e replicazione sono le caratteristiche che definiscono la vita. Tutto ciò che riguarda i viventi poggia su questi 2 processi.

LeDoux fa un richiamo continuo alla lettura di Claude Bernard e di Xavier Bichat con la loro idea che tutte le specie condividessero le stesse proprietà fondamentali in netto contrasto con la visione di Darwin per cui le specie invece erano distinte tra loro.

L'organismo è in continuo cambiamento regolandosi costantemente in ogni istante di ogni giorno dal punto di vista metabolico omeostatico e/o allostatico.

Humberto Maturana e Francisco Varela hanno identificato tre caratteristiche essenziali degli organismi, Sono l'autoproduzione, o autopoiesi, l'auto-organizzazione e l'auto-conservazione. In pratica l'organismo si conosce, si controlla, si conserva, si corregge.

Di Romer il nostro autore rimane affascinato dalla descrizione che fa dei tipi di muscoli.

Ci sono due tipi di tessuti muscolari, i muscoli striati che in buona parte della carne del corpo sono attaccati allo scheletro che rispondono rapidamente per controllare i movimenti, e i muscoli lisci associati in genere agli organi interni e alle ghiandole. La differenza tra i 2 tipi di muscoli è correlata a tipi di proteine differenti che controllano le contrazioni.

Per molti aspetti, conclude Romer, l'organismo dei vertebrati, dai pesci ai mammiferi, è una struttura unitaria ben integrata.

L'autore poi irride a quei tanti neuroscienziati che hanno ceduto alla tentazione di considerare l'evoluzione come un processo per cui nuove parti si aggiungono a parti più antiche. Esse sono un riflesso di una concezione pre-darwiniana della vita intesa come scala.

Per quella via interpretativa si formano progressivamente cervelli sempre più sofisticati. l'anatomista Edinger ipotizzò che il prosencefalo umano si sovrappone al mesencefalo e riflette l'accorpamento di cervelli ancestrali dei vertebrati impilati uno sull’altro. Una sciocchezza. Quanti però spacciano l’idea, falsa, che esiste un cervello “rettiliano” che trasciniamo in noi dall’epoca dei rettili. Questa “idea” affonda le sue radici in una concezione, ideologia, che vede l’uomo arrivare dopo le altre specie su una scala continua di evoluzione. Una sciocchezza.

Per quella via si arriva a immaginare il proencefalo come la parte più evoluta, in cui si localizzano le competenze cognitive più sofisticate.

In realtà oggi si pensa che le funzioni siano molto meno localizzate nelle singole regioni cerebrali grandi o piccole che siano e che il funzionamento dipende invece da reti connesse da sinapsi. Reti distribuite all'interno delle zone principali e tra di esse.

Tutti gli organismi devono conservare la omeostasi metabolica tra il loro mondo interno e l'ambiente circostante; svolgono questo compito in parte adottando comportamenti di avvicinamento e di allontanamento. In altre parole con l'evoluzione e la diversificazione degli animali, la funzione viscerale è la funzione somatica del mondo biologico primordiale. Essa fece un passo avanti nel mondo neurobiologico mediante la selezione naturale.

Attraverso questa lente diventa chiaro che il controllo della funzione viscerale e della funzione somatica del corpo da parte del sistema nervoso è la ragione stessa dell'esistenza del sistema nervoso.

Una buona definizione della cognizione è l'azione, o il processo mentale, di acquisizione della conoscenza e di comprensione tramite il pensiero l'esperienza e i sensi.

Insieme importante di circuiti cerebrali coinvolti in una omeostasi è situato al centro del tronco encefalico che modula l’arousal rilasciando specifiche molecole. Tra esse troviamo la noradrenalina, la serotonina, l'acetilcolina, la dopamina, l'orexina.

Un ruolo importante dei sistemi di arousal è la regolazione del ciclo sonno- veglia.

La memoria di lavoro è un sistema cerebrale che permette una archiviazione e una manipolazione temporanea dell'informazione necessaria in compiti cognitivi complessi come la comprensione del linguaggio, l'apprendimento e il ragionamento.

La memoria di lavoro ha una capacità limitata. In un dato istante possiamo trattenere nella mente solo una quantità limitata di informazione.

Creare una forma più durevole di memoria, una memoria a lungo termine, richiede il ripasso implicito o esplicito dell'informazione.

Oggi sappiamo che la memoria di lavoro implica un'elaborazione cosciente e non cosciente al tempo stesso. 

Anche sul tema delle memorie ritorno in un altro articolo.

La distinzione fra intuizione e deliberazione è stata resa popolare da Daniel Kahneman con il suo libro del 2011 Pensieri lenti e veloci che propone 2 sistemi di pensiero. Il sistema veloce include le capacità innate che abbiamo ereditato e che condividiamo con gli altri mammiferi. Siamo nati con la capacità di percepire il mondo intorno a noi, riconoscere gli oggetti, orientare l'attenzione e valutare le perdite e temere. Ma il sistema 1 non è puramente innato, impara anche a seguito di associazioni. Mentre il sistema 2 assegna l'attenzione ad attività che richiedono un lavoro mentale; le sue funzioni sono strettamente associate con l'agire, l'agentività, la scelta, la concentrazione e l'esperienza cosciente.

LeDoux crede invece in un approccio a tre sistemi

Allora il sistema 1 è deputato al controllo comportamentale non cognitivo e non cosciente; quindi si muove completamente nel mondo neurobiologico fatto di riflessi di istinti e le risposte sono condizionate, pavloviane, a formare le abitudini.

Il sistema 2 è il controllo comportamentale cognitivo ma non cosciente appartenente al mondo cognitivo composto da memoria di lavoro non cosciente, deliberazione non cosciente, ragionamento inferenziale non cosciente, intuizione non cosciente .

Poi il sistema 3 opera il controllo comportamentale cognitivo e cosciente corrispondente al mondo cosciente fatto da memoria di lavoro cosciente, deliberazione cosciente e ragionamenti inferenziale cosciente.

Tuttavia va chiarito che non esiste alcun esperimento scientifico concepibile che potrebbe aiutare a decidere in merito a concezioni materialistiche, positive, della mente ha chiarito John Jamieson Carswell Smart, ci ricorda LeDoux in pratica dicendoci che la sua ipotesi sul funzionamento della mente è solo una ipoesi, sua, che convince, lui, in quanto coerente coi, suoi, studi. Non con questo che io voglia sminuirne il valore, anzi la trovo affascinante. Ma da lì al farla passare per scienza ce ne corre.

La fisica è la strada scientifica migliore verso la coscienza? almeno per ora pare di sì. Ma avremmo bisogno di saperne di più sulla biologia della coscienza per correlarla alla chimica e poi alla fisica.

Diversamente da quello che immaginò il filosofo Rudolf Carnap  quando sostenne che la fisica è più fondamentale della chimica e la chimica più della biologia come se fosse una conoscenza a strati.

Ed è ancor più semplicistico immaginare, come fa Francis Crick, scopritore della struttura del DNA secondo il quale noi esseri umani non saremmo altro che un pacchetto di neuroni .

La psicologia esisteva senza le neuroscienze e avrebbe potuto continuare a farne a meno, ma senza la psicologia le neuroscienze non potrebbero esistere per come esse sono oggi.

Le tanto attese soluzioni attraverso gli studi di neuroimaging finora hanno fatto solo illudere. Sbandierate ogni volta come la prova definitiva finora si sono rivelate solo delle mappe geografiche senza descrizione su cosa vi sia, come si formino, come interagiscano.

Al congresso AEPEA 2023 svoltosi sul tema generale della incertitude, Dehane ha ironizzato sul modo di lanciare i sempre nuovi progetti di alcune grandi istituzioni come il NIMH. Lo fanno come le aziende che gettano sul mercato nuovi prodotti che superano, e ci mancherebbe, i precedenti e ottengono, finalmente, risultati roboanti. Senza mai rendere conto se i precedenti grandi risultati attesi si siano realizzati o no. Anche perché, almeno finora, non si sono mai realizzati. E’ come se ci fosse una grande fiera delle illusioni che indicano il bel sol dell’avvenire quando tutto sarà chiaro e dominato dalla scienza. Perché questo è quel che sottolineava Dehane, che questi lanci “pubblicitari” di nuove ricerche—avventure scientifiche servono a idolatrare la scienza. Quella deificata, quella che non è scienza. Ma la gente è messa di fronte a tali grandiose ipotesi che non può che osannare.

Ricordate quando si scoprì il genoma? Adesso sì che capiremo perché si preferisce andare al mare o si ingrassa o si beve o …o… o.

Era il 2005. Non è successo quasi niente dell’osannato.

Ricordo con tenerezza quando una grande neuroscienziata Nora Volkow, esimia direttrice di NIDA, giusto allora si sbilanciò nel disegnare un percorso di sviluppo delle conoscenze che vedeva dopo il genoma la scoperta delle formazioni proteiche, per passare ai neuroni e da lì al connettoma alla circolazione di neurotrasmettitori e ormoni alle emozioni ai pensieri e finalmente ai comportamenti secondo una stratificazione che consentiva di legare in modo deterministico le basi genetiche alle condotte umane. Metteva se non ricordo male anche una data in cui si sarebbe raggiunta quella chiarificazione, il 2025. Vedremo. Finora non ne è uscito nulla. Nel frattempo nella grancassa della rincorsa a sempre nuove ricerche di quella previsione nessuno ricorda.

Anche su questo punto rimando ad altri miei lavori.

La scienza in realtà è un processo di costruzione sul passato fino a quando una qualche scoperta crea quella che Thomas Kuhn ha definito un cambiamento di paradigma.

Non si vede la fine del bisogno di fare ricerca a meno che qualcuno, delirando, pensi che si arriverà un giorno a conoscere il pensiero di Dio. Comunque quel giorno è molto in là da venire.

A mio modo di vedere la ricerca è e sarà sempre continua e mai arriverà al limite del pensiero di Dio: siamo umani, esaltati e grandiosi a volte sì, ma sempre umani, mortali, contraddittori.

Non c’è spazio per il determinismo nel campo dell’analisi delle condotte umane.

La Visione dell'autore si differenzia anche da quella di Stanislas Dehane con la sua teoria dello spazio di lavoro globale neuronale .

Nella versione più aggiornata di Dehane riproposta da Claire Sergent si Immagina che un'ampia rete di rappresentazioni di ordine inferiore sia condivisa e conservata per breve tempo, cioè per poche centinaia di millisecondi in quello che chiamano campo di gioco globale. 

È una forma di vagabondaggio della mente che dipende dal cosiddetto “default network” rete di default del cervello. 

Le aree cerebrali non sono moduli isolati che svolgono funzioni differenti stando separata l'una dall'altra. Le funzioni cerebrali dipendono da interazioni tra circuiti di molteplici aree formando delle reti e dei network funzionali.

La memoria e altri input multimodali sensoriali contribuiscono unitariamente a formare le complesse esperienze coscienti della vita reale.

Senza memoria la sensazione è priva di significato.

Si tratta quindi di immaginare un sistema di coscienza stratificato dove la profondità aumenta con il livello di coscienza .

Secondo LeDoux la coscienza di ordine superiore dipende da un'attività intensa in un modello mentale basato sulla memoria di lavoro alimentato, come una suite di tipo informatico, cioè come una collezione di applicazioni software in cui ciascuna delle quali svolge un ruolo specifico all'interno di un medesimo ambito di connessioni ricorsive, ossia di connessioni reciproche che formano loop di elaborazione tra aree cerebrali diverse.

Questo, che è il cuore della spiegazione del funzionamento della coscienza secondo LeDoux, dimostra la complessità e nello stesso tempo la tortuosità e probabilmente la misteriosità della spiegazione stessa.

Mi ricordo che Einstein era solito dire che il linguaggio complicato cela idee ancora confuse. 

La memoria a lungo termine è tipicamente suddivisa in esplicita ed implicita. I ricordi espliciti sono formati e archiviati in modo da poter essere recuperati nella memoria di lavoro e qui introspettati e esperiti in modo cosciente.

Se ne possono dichiarare i loro contenuti a piacere. Infatti fanno parte della memoria dichiarativa.

Invece i ricordi impliciti sono immagazzinati tramite apprendimento procedurale. Possono sì essere recuperati ed espressi, ma solo attraverso risposte corporee non verbali.

Delle memorie esplicite fa parte la memoria semantica che è in relazione con la memoria di lavoro e implica la conoscenza attuale e concettuale.

Poi io la memoria più personale che riguarda le esperienze individuali che forma la memoria autobiografica. Contiene quanto abbiamo fatto e acquisito. Ma che si distingue dalla memoria episodica in cui il soggetto deposita e poi recupera il dove, il quando e il cosa delle sue esperienze.

Vi è un elemento esclusivo e distintivo della memoria episodica. Essa, e soltanto essa, ci permette di costruire il senso di identità e di continuità personale della vita.

Ma la memoria episodica, come tutte le memorie, non è una copia fedele di cosa è successo nel passato. Infatti noi impieghiamo il succo archiviato e lo schema semantico rilevante per costruire uno scenario e una narrazione su cose accadute. E poiché il processo di costruzione è caotico, la memoria che viene recuperata può deviare talvolta anche in modo significativo da ciò che effettivamente si è sperimentato.

Ciò che correda il viaggio mentale nel tempo e nello spazio è la metacognizione soggettiva che include pensieri riguardanti chi si è, che cosa ci si ricorda, che cosa si è fatto e che cosa si prevede per il futuro.

Spesso coi pazienti uso la metafora, monti sopra le sue esperienze e le veda come se fosse dall’alto; si allontana almeno un po’ dai condizionamenti ambientali e assume una posizione metacognitiva di lettura della esperienza.

Attualmente LeDoux sostiene che il contenuto non cosciente dei modelli mentali basati sulla memoria di lavoro sia tradotto in esperienze e coscienti da narrazione interiori.

Ci parliamo sempre e di continuo, come dice Daniel Dennett.

Gli esseri umani sono persone solamente nella misura in cui conservano e raccontano le storie della loro vita oppure no, nel senso che lo sono anche in ogni caso perché portano dei depositi di affetto.

Jerome Bruner sostiene che la conoscenza di se stessi abbia una struttura fondata su storie, una struttura narrativa.

E’ interessante recuperare Oscar Wilde quando diceva che la vita imita l'arte, mentre la lettura delle autobiografie mitiga ogni dubbio al riguardo.

Non esiste nessun'altra attività umana in cui la spinta a ridurre la dissonanza cognitiva sia grande come nel raccontare la propria vita.

Noi umani ci raccontiamo tante, involontarie, bugie.

In pratica si racconta sempre di sé, ma modificando, alterando, suggestionando, autosuggestione, incolpando o assolvendo sé stessi.

Quindi confabuliamo di continuo?

Se esiste una differenza fra confabulazioni e narrazione è che le confabulazioni sono sforzi per compensare un problema neurologico o psicologico, mentre le narrazioni sono processi esplicativi ordinali normali a cui tutti ricorrono nella vita.

Le persone comuni hanno molte narrazioni ordinarie a cui richiamarsi. Ma le persone affette da deficit di tipo neuro-cognitivo ne hanno molte di meno e ricorrono a confabulazioni quando la memoria va in tilt. Così spiegano Linda Orulv e Lars Christer Hyden con le loro ricerche sulla confabulazione nei pazienti amnesici.

Secondo Lisa Bortolotti le persone che confabulano sanno quali sono le loro attitudini e scelte ma non hanno accesso a informazioni essenziali su come esse si formano.

Così si identificano diverse funzioni della confabulazione; volta alla risoluzione di problemi, alla creazione di senso per comprendere il presente, all'autocostruzione per conservare l'identità personale, alla costruzione del mondo per organizzare interazioni con il mondo esterno.

Una eventuale riflessione su tutto questo è che le confabulazioni sono evocate quando le narrazioni comuni diventano insufficienti per alimentare la sensazione di giustezza.

Manca qualcosa per sentirsi a posto, giusti. Ecco che arriva come rimedio la confabulazione. Quindi le confabulazioni servono alle persone normali per rattoppare l'identità dell'io.

Infatti le persone normali si avvalgono in genere della memoria episodica per costruire le narrazioni che collegano elementi di pensieri su eventi in una comprensione coerente di chi si è e del perché facciamo quello che facciamo.

In assenza di narrazione interiore la comprensione della nostra mente psicologicamente è ingenua e il suo ruolo nella comprensione della mente altrui, cioè la sua teoria della mente, non esiste.

Per questo Bruner ha titolato l'articolo “Life as narrative” (in Social Research, 1987), la vita come un racconto .

Gregory Berns in “the self delusion” ha chiarito i contributi della memoria episodica nella narrazione dell'io personale dicendo che ognuno ha almeno tre versioni di se stesso.

La prima è quella situata nel presente; ma il presente è un'illusione: nel momento in cui lo si pensa è sfuggito nel passato. Perché noi siamo bloccati nel passato. Di regola i noi passati e futuri si combinano senza cesure in una esistenza unificata. Ma anche questa è un'illusione.

E allora, alla domanda chi siamo noi? la risposta è chiunque noi pensiamo di essere.

Il nostro cervello costruisce una narrazione della nostra vita e questo processo costruisce la nostra auto identità che si forma in descrizioni e si fissa in parole, in linguaggio.

Quindi è la lingua che parla, la lingua che descrive, la lingua che classifica, la lingua che giudica e la lingua che custodisce la nostra identità.

Noi esseri umani siamo unità biologiche organizzate gerarchicamente che per buona parte funzionano come un sistema integrato.

Invece nell’esperienza alla domanda chi sono io? sono tutto quello che credo di essere; non so se sono io, l’uno o l’altro o tutti insieme. Le narrazioni sono divise in settori, in organi, in emozioni. 

Quando ne ho parlato con mia nipote Vittoria immaginando di introdurla in un pensiero scientifico davvero avanzato mi ha risposto, come dice Pirandello!

Penso abbia ragione lei. Niente di nuovo sotto il sole? L’arte, la letteratura, anticipano la scienza?

Ognuno ha un continuo monologo interiore, un vero e proprio vagabondaggio mentale linguistico, come ha spiegato già negli anni Trenta lo psicologo russo Vygotsky.

Parlando del linguaggio interiore che ha un ruolo fondante per lo sviluppo mentale del bambino e per il benessere mentale dell'adulto, si comprende che il linguaggio interiore è essenziale per la comparsa di un senso soggettivo di chi si è e della conservazione nel tempo di questa consapevolezza.

Si pensa in effetti che l'uomo sia ricorso alla pantomima e alla imitazione come strumenti di comunicazione visiva prima che potesse evolvere il linguaggio. Addirittura su questi talenti si è basata, si sarebbe basata, l'evoluzione del linguaggio stesso.

.

Se l'unica cosa che occupa il modello mentale precosciente è uno stimolo visivo o un ricordo oppure un vagabondaggio mentale linguistico, cioè il linguaggio interiore alla Vygotskij, allora è quello a determinare il contenuto della narrazione.

Se come succede spesso nelle situazioni della vita reale, molteplici e distinti tipi di input sensoriali psichici mnestici stanno entrando e sono integrati nel modello mentale, allora il contenuto mentale si traduce in una narrazione il cui contenuto è ovviamente più complesso.

La narrazione mentale in mentalese (il linguaggio della mente) può essere concepita come un fiume mentale che ha delle sue affluenze nell'espressione verbale, oppure nell'azione, oppure nella coscienza, come se fossero tre grandi canali di scarica della attività psichica che continuamente ci scuote, ci muove, ci attiva, ci fa vivere.

Per le citazioni rimando a

Le Doux Joseph, I 4 mondi dell'uomo; una nuova teoria dell'io, in La Scienza e Idee, diretta da G. Giorello, Raffaello Cortina, 2024