Dopo anni di fast-food e cibo-spazzatura sgranocchiato nelle orecchie degli altri spettatori di un cinema o di un teatro, l’aria sta decisamente cambiando. Uno studio recente ha messo in chiaro il problema del peso nei prossimi anni. Al solito lo studio è avvenuto negli Stati Uniti, su questo ormai abbiamo speso un sacco di parole per dire che ci vuole pazienza: loro i dati li hanno, noi non abbiamo vera ricerca e quando qualcuno parla di cose italiane, è sempre riferito a un modesto teatro di una scuola, di un gruppo sociale o di una piccola città. Pazienza. Ora è chiaro che il problema del peso si sta dimostrando un danno per l’economia molto più pesante di quanto si pensasse.

E’ stato calcolato che se tutti i milioni di bambini oggi obesi rimangono in sovrappeso anche da adulti, i costi totali della società – in costi per la sanità, l’assenteismo sul lavoro e la minore produttività saranno astronomici.

Hanno contato la cifra di mille e cento miliardi di dollari, pari al 6,6 per cento dell’attuale PIL USA.

Il dato emerge da uno studio condotta dalla Brookings Institution di Washington ed è di circa il triplo delle precedenti stime.

Matthew Kasman, un ricercatore della think-tank produttrice dello studio, ha presentato i risultati in una conferenza stampa. Si è dilungato nel chiarire che i numeri “sono solo la punta di un iceberg” pauroso per la forza dell’impatto economico dovuto all’impennata dei tassi di obesità.

“Anche si crede che non ci sono obblighi morali per dettare norme sullo stile di vita e sulla salute dei concittadini, la ricerca indica che abbiamo un interesse economico molto chiaro per farlo”, ha dichiarato.

Lo studio si chiama “Uno sguardo approfondito sui costi economici della obesità spalmati lungo l’arco della vita”. Vi si trovano le proiezioni dei costi spalmati lungo tutto il tempo della vita. Confrontando due gruppi di 1.000 persone che hanno oggi tra i 20 ed i 24 anni, il software ha determinato che i costi per il “gruppo di obesi” è in media di quasi 100mila dollari in più, non dei magri, ma di quelli che hanno un indice di massa corporea medio.

La stima prende in considerazione l’assenteismo e la scarsa concentrazione e performance: spesso le persone obese sono sia meno produttive sia meno presenti. Un altro studio di poco più datato, è uscito nel 2010, chiarisce che più il lavoratore è pesante e maggiore è il calo della produttività più alto è il costo che grava sulla sanità.

Una relazione del 2014 della Società per la Gestione delle Risorse Umane ha dettagliato i costi che l’obesità fa ricadere sui datori di lavoro. Vi si legge un allarme del tipo: il crescente numero di dipendenti obesi o che hanno fattori di rischio per l’obesità è un problema per la sicurezza e per la postazione di lavoro.

Un altro rapporto sempre Società per la Gestione delle Risorse Umane ha scoperto che l’obesità è un “fattore di rischio” perché il lavoro può arrivare a costare due o tre volte più di quello che ci si aspetterebbe di pagare contrattualmente.

Attualmente il 34,9 per cento degli adulti negli Stati Uniti è obeso contro il 10 per cento nel 1990. E’ impressionante: secondo le statistiche del CDC, l’istituto di scienza sanitaria conosciutissimo perché si occupa di tutte le patologie ed è diventato famoso per l’Ebola, per le strade americane si aggirano circa 78 milioni di adulti con un indice di massa corporea superiore a 30 di BMI: ovvero obesi.

Per i giovani i tassi di obesità sono passati da 5 per cento al 17 per cento dal ’90 all’anno scorso.

Per questo si stanno facendo così tanti sforzi per correggere l’andamento dell’obesità. Qui e là si comincia a vedere qualche risultato, specie tra i bimbi anche grazie all’impegno dei pediatri. Ma è presto per cantare vittoria: smaltire l’obesità è un’impresa enorme, lo sanno bene gli obesi.

Un grande aiuto può venire dalla variazione della politica di mercato delle grandi aziende agro-alimentari. Le vendite di cibo sano crescono molto più rapidamente delle vendite dei piatti spazzatura che attirano tanto l’occhio e la gola ma che fanno tanto male.

Ma la chiave di volta è, lo sanno bene i lettori di questa rubrica, la modifica della domanda, cioè l’educazione del pubblico. Ed una bella mano la danno i testimonial che ci giocano la loro faccia per fare cambiare stile di vita alle persone.

Una su tutti la first lady, Michelle Obama col suo “Let’s move”. Pare che abbia un successo senza precedenti nel creare consapevolezza sul problema obesità.

L’obesità non è un problema americano, né è confinata solo ai paesi industrializzati. Ci sono già più di 115 milioni di persone obese nei paesi in via di sviluppo secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il Messico è il paese più obeso, la Cina non è molto da meno.

Quando si parla di costi dell’obesità bisognerebbe includere le spese in famiglia, nei trasporti, e, perché no?, nelle relazioni sociali e nel matrimonio.

Si è dimostrato che l’aumento di peso tra gli adulti costa alle compagnie di volo qualcosa come qualche miliardo di litri di carburante.

E’ aumentata la domanda di bare extra-large, i sedili dello stadio o dei teatri vanno riconfigurati, i letti negli alberghi devono diventare più grandi. Insomma pressoché tutti gli ambiti ne risentono.

Quindi c’è già chi fa sapere che i costi enormi rivelati dalla ricerca dell’istituto Brooking sottovalutano il costo totale dell’obesità, dal momento che non tengono conto di fattori come il consumo di carburante, la pronta disponibilità nelle situazioni di emergenza, l’assicurazione sulla vita, il costo dei materiali e degli arredi, eccetera.

Governi scarsi lasciano che le cose si sistemino da sole; così facendo lasciano che si creino danni enormi alle persone, alle famiglie ed alla società. La società etica è un rischio per le libertà individuali, ma la società senza etica abbandona i più indifesi a pagare i costi del laissez-faire.

 

Umberto Nizzoli