Covid-19 e disturbi da uso di sostanze (legali o illegali) e del comportamento

Questo capitolo è apparso in Il segno della pandemia. Effetti psicologici e sociali (a cura di Benassi P. e Mazzacurati S.) Memi, Consulta libri e progetti, 2020

L’epidemia si è abbattuta come un ciclone, improvvisamente togliendo dal sonno di una specie di delirio dell'Io eccitato e inarrestabile e aprendo la voragine della caducità, della mortalità umana.

Si è passati dal giorno alla notte dal sogno di una vita che si espandeva tranquilla e felice, quasi eterna, alla paura di una morte incipiente e incontrollabile.

Oh! certo, già prima vi era chi si sentiva precario e frustrato.

Per quanto larghe fossero le sacche di sofferenza rimanevano però minoritarie, con la pandemia si sono riversate su quasi tutti.

La rivelazione improvvisa della mortalità umana, della sua caducità e precarietà, ha creato disorientamento e uno smarrimento di sé nel tempo e nello spazio.

Si è passati da una situazione di socialità iper-eccitata da consuetudini ormai diffuse di feste cene incontri birrerie condite col contatto fisico e quotidiano alcol droghe, alla esigenze di prendere la distanza, alla paura dell'altro da tenere continuamente sotto controllo fino ad arrivare a mascherarsi come regola quotidiana. Un aiuto ai fobici sociali, un danno a tutti gli altri.

Si è trasformato il mondo, si sono trasformate le basi spaziali e relazionali ondeggiando in una specie di sospensione del tempo accentuato dalla chiusura in casa, dalla chiusura delle relazioni, dalla chiusura in sé.

Dopo una ubriacatura iniziale in cui molti riscoprivano la bellezza del tempo che rallenta scorrendolo piacevolmente tra le mura domestiche all’insegna di uno scaramantico infantile andrà tutto bene, con l’andare del tempo all’allarme derivato dalla epidemia e dal modo con cui sono stati riversate tonnellate di dati spaventosi si è sommata la fatica della quarantena. Per mesi la popolazione è stata esposta a stress continuo; se vi si aggiunge la forte paura per il degrado delle condizioni economiche fino al timore della perdita del lavoro e della marginalità sociale, si comprende meglio il perché dei drammatici dati emersi dai vari studi che subito sono iniziati. Prendiamo ad esempio quello commissionato dall’Ordine degli Psicologi all’istituto Piepoli.

L’impatto emotivo della emergenza su una persona dipende dalle caratteristiche e dalle esperienze di quella persona oltre che dalle sue circostanze sociali ed economiche.

Non ci sono dati desunti da esperienze simili che permettano di trarre esaurienti conclusioni. Tuttavia da tragedie sociali in qualche modo ravvicinabili come il crollo delle torri, precedenti epidemie più locali, terremoti o tsunami si è visto che una quota di popolazione trae spunto dalla tragedie per correggersi, migliorare le proprie debolezze, divenire più responsabili, in parole divenire più resilienti. Per qualcuno probabilmente anche questa epidemia sarà una occasione per crescere, per diventare più calmi e sicuri, più ispirati. Ma costoro con molta probabilità saranno i meno. I più ne trarranno seri danni, fisici psichici relazionali e spirituali. Insomma l’epidemia non colpisce solo, si fa per dire, col virus; i suoi correlati rischiano di fare peggiorare la qualità della vita di milioni di persone. Lo strumento stesso usato per proteggersi dal contagio ha con sé conseguenze molto serie. I danni che può provocare la quarantena sono di tale ampiezza che è difficile citarli tutti, abbracciano il funzionamento di ogni organo e di ogni stato umano. Sono danni già attuali ma che si possono spandere avanti negli anni. Una ricerca sociologica non ha la stessa attendibilità di una indagine scientifica, tuttavia l’istituto Piepoli rileva un livello di sofferenza mai prima così elevato. Il 42% dichiara di soffrire di ansia/stress, il 24% ha disturbi del sonno, il 22% si sente più irritabile, il 18% ha l’umore depresso, il 13% dichiara di essere immerso in conflitti relazionali. Certo, sono problemi che potevano pre-esistere; infatti è solo, solo?!, il 31% degli italiani che dichiara un netto peggioramento delle condizioni psicologiche. Le cause principali che fanno soffrire si suddividono. Il 51% si sente afflitto dalle condizioni/restrizioni della pandemia, il 58% sta male per le prospettive, il futuro angoscia.

Ora è evidente che bisogna farsi carico sia della tutela dal contagio sia dello stato psichico della popolazione altrimenti avremo individui spossati, famiglie sfasciate, comunità affannate. In particolare le persone più vulnerabili sono più esposte, gli anziani, i malati mentali, i disabili, i dipendenti, gli adolescenti, i bambini: le persone più indifese, le persone che hanno più bisogno della linfa vitale delle relazioni umane per non essere travolte dalla paura e dalle angosce.

In sintesi l'intelligenza umana è la capacità di adattamento. Sostanzialmente è quella capacità che ha consentito all'umanità di progredire e di adattarsi al mondo che evolve. Ma l'adattamento umano richiede del tempo, di conoscenze esplorazione comprensione rassicurazione presa delle distanza. Qui il passaggio è avvenuto praticamente in 24 ore ponendo quindi l’esigenza di adattarsi in un tempo rapidissimo umanamente inusuale: un passaggio troppo brusco e improvviso.

Si potrebbe comunque dire che è un'opportunità incredibile: nessun'altra generazione ha avuto l'esigenza di adattarsi in modo così improvviso e radicale nel giro di pochi giorni. Siamo sicuramente pionieri dell'umanità, perciò abbiamo la fortuna di vivere in un’epoca di pionierismo e di scoperte. Purtroppo il contesto è fatto dalla insicurezza che genera la paura, altrimenti si potrebbe dire beata la situazione che si è creata poichè apre orizzonti nuovi alla ricerca, alla scoperta, allo studio e alla conoscenza del mondo. L’epidemia consente di conoscere meglio noi stessi e gli altri.

Tutte le fasce di popolazione per un periodo di tempo indefinibile è stata sottoposta a dimensioni di stress e ansia inusitati. Gli effetti si riverbereranno molto a lungo. L’esposizione ai traumi della perdita e del dolore accade a distanze differenti, c’è chi è “sul fronte” e chi è chiuso in casa. Ma le distanze non sono solo geografiche, contano di più quelle emotive.

La esistenza di ogni individuo comincia con una separazione che la psicanalisi definì il trauma della nascita. L’unità originaria nel ventre della madre con la nascita si rompe irreversibilmente. Ne deriva una nuova realtà: quella “oggettuale”. Da quella separazione deriva una condizione di mancanza. Il cibo, ineludibile fonte di sostentamento, non viene più fornito gratuitamente ed inarrestabilmente all’interno della unione simbiotica attraverso il cordone ombelicale, ma attraverso una separazione tra un soggetto bisognoso che desidera e chiede ed un oggetto (il seno materno) che può essere o non essere dato nei modi e nei tempi opportuni. 

La sofferenza esistenziale è invariabilmente collegata ad ogni processo di separazione.

Il dolore connesso alla separazione e l’afflato insopprimibile per il ricongiungimento danno vita in Aristofane al mito della mela dimezzata. Secondo questa lettura gli umani non sarebbero esseri interi ma …mezze mele alla perenne ricerca dell’altra metà che manca.

E’ la capricciosa pretesa di ottenere quel che ci manca che tiene gli individui bambini; capricciosi e prepotenti. Purtroppo certi amori iperprotettivi genitoriali tanto comuni oggi quando un piccolo è al centro di una pletora di adulti plurigenerazionali, favoriscono il blocco della crescita. Crescere invece è inesorabilmente fare delle scelte, scegliere, allontanarsi, separarsi (1).

Ogni scelta è una rinuncia, una perdita. Molti per malcelata insicurezza, vogliono evitare di dover scegliere e si incaponiscono nel pretendere tutto e i contrario di tutto. Dentro al gioco di volere assolutamente quel che si desidera si innesca la dinamica della dipendenza patologica. L’uso di droghe spesso coprono la incapacità a crescere, l’incapacità a scegliere e a definirsi come persona coi suoi pregi ed i suoi limiti.

Se l’essere umano non ha buone radici, vive sentimenti di distruzione e di perdita.

L’ansia di separazione a cui si è destinati nascendo, se non è arginata dalla gioia di crescere, fa emergere spinte di tipo regressivo che vorrebbero l’incorporazione totalizzante.

E’ qui che si gioca il valore dell’adulto genitore che sa trasmettere fiducia ed apertura alla crescita oppure che castra ed inibisce spesso per malinteso senso di protezione dai mali e dai rischi del mondo. Questo ultimo tipo di genitore dà vita a figlioli fragili con bassa tolleranza alla frustrazione, labili emotivamente, con scarso senso di realtà. Bimbi viziati che non rispettano le norme, destinati a diventare infelici narcisisti frustrati. Adulti che credono di meritare sempre comprensione, simpatia e ammirazione. Adulti che hanno paura del rifiuto, che diventano ostili e risentiti; e che bramano, insistentemente pretendono. Dalla smania del desiderio di avere tutto per sé nasce la dipendenza ed il craving che spinge inesorabilmente verso la droga da cui si dipende: sia essa chimica o naturale, molecolare o senza sostanza. Il craving si attiva e spinge l’individuo verso quella “roba”, droga legale o illecita che sia o a quel comportamento (nella comune esperienza dei dipendenti le due dimensioni coesistono: uso droga per dare vita a un modo di essere di comportarsi).

Senza “la sua roba” gli sembra che nulla abbia senso. Solo la sua “roba” vale la pena di essere voluta, presa, incorporata; desiderio struggente per un qualcosa che non può mai essere raggiunto completamente.

L'epoca che viviamo è all'insegna della grande incertezza. Il Covid fa sperimentare incertezza, smarrimento mancanza di certezze ambiguità, rende ancor molto più infido il mondo, i virus, le relazioni, le situazioni. Bloccare la crescita e sviluppare la dipendenza è un modo (patologico) per trovare certezze. Benchè siano patologiche, per certuni queste sono meno spaventose o difficili di diventare responsabili ed autonomi.

Molto dipende dall’educazione ricevuta. Probabilmente questa è la prima sfida che i genitori la scuola gli educatori i medici devono assumere su sé: insegnare ad amare le sfide della crescita senza ricorrere a facili protezioni e a dipendenze da “robe”, droghe o abitudini che siano.

Nora Volkow, famosa neuroscienziata e direttrice del NIDA, parla del potere dell’ambiente (della famiglia, degli amici, dell’educazione, dei media, del linguaggio, della cultura) nel facilitare o compromettere il delicato equilibrio fra piacere e dipendenza. L’ambiente è un fattore molto potente nel favorire la dipendenza o nel proteggere da essa.

Se si vive in un ambiente in cui gli stimoli correlati all’oggetto da cui si dipende sono a portata di mano e poco costosi e se si ha un limitato accesso alla cultura che promuove scelte valoriali differenti, la probabilità di vivere là tensione spasmodica del volere desideroso aumenta a dismisura .

Il piacere è una forma di felicità ma è effimera, si lega ad un momento, a un gesto, a uno sguardo, a un respiro. Di contro la felicità è sì un piacere, ma ha le caratteristiche di essere più duratura. A volte avvolge come un’aura che pervade ed accompagna. Di contro la dipendenza è un nulla, uno stato in cui l’individuo può solo protestare per avere, a tutti i costi, quello da cui dipende: come un bambino autoritario e capriccioso. Chi dipende, vuole l’oggetto della sua dipendenza perché lo fa stare bene, così crede. Il totalitarismo arriva a considerare che faccia bene quel che distoglie dal dolore, quello sì insopportabile, dell’astinenza.

A nulla serve osservare che nel lungo periodo quel che ora l’individuo vuole, senza se e senza ma, lo porterà alla distruzione.  Per lui quella cosa da cui dipende è tutto, è il tutto. L’individuo la vuole perché gli piace, anzi arriva a considerare piacere solo quella cosa: non vuole che quella. La sua dipendenza per lui è buona e piacevole di per sé ed arriva a portarla all'estremo fino a diventare ingestibile. E’ la legge dell’addiction (2).

Ora il punto è che qualsiasi cosa piacevole può, potenzialmente, essere portata agli estremi. Tutto è potenzialmente piacevole, tutto lo può essere per alcune persone. Ad alcuni piace una cosa, ad altri un’altra: questione di opzioni. Tutto, se estremo, può diventare dipendenza. Noi stiamo vivendo una epoca dello estremo!

Recentemente ha preso motivo di attenzione l’esercizio fisico eccessivo. In epoca di esaltazione dell’immagine corporea si spiega la diffusione delle pratiche di cura fisica del corpo. L’excessive exercise si propone di trasformarlo, diverso da come sarebbe e modellato come neanche la natura potrebbe. Modelli affascinanti di linee corporee che forse non si hanno mai avute, neppure da giovani. È una fiera delle illusioni che vede folle di persone comperare sogni. Vendere sogni non appartiene alla scienza, ma il mercato democratico non fa selezioni meritocratiche e lascia spazio ai cialtroni che vendono sogni di un sé che si vorrebbe, che si soffre di non avere, che si sa di non avere ma che diventa difficile riconoscere di non potere avere; che si vuole a tutti i costi, costi quel che costi. Molte persone seguono piani di lavoro fisico con grande insistenza al punto che si può parlare di mania per il fitness o più semplicemente di mania di allenarsi sempre di più, “excessive exercise”. Costoro si sentono in dovere di esercitarsi non importa come sia il tempo o come stiano emotivamente o fisicamente. Possono rinunciare a tutto ma non all'esercizio fisico. Anzi certuni sanno rinunciare a tutto fino a quando il loro allenamento è finito. Tutto viene dopo l’exercise. Adesso in epoca di Covid l’individuo è stimolato a muoversi fare attività fisica, comunque, sempre come scarica dello stress!

Ma come si fa a sapere quando si sta superando il limite e ci sta esercitando per le ragioni sbagliate? Come sapere se il desiderio aiuta a crescere o rende vittime? (3)

Nel suo bel lavoro sulla food addiction Melchionda (8) racconta una delle essenze della vita: la lotta fra regolazione e disregolazione del comportamento, innanzitutto alimentare. Ma la medesima lotta può essere riproposta su ogni relazione che l’individuo instaura: col sesso, col denaro, col lavoro, col suo corpo, eccetera.

Attualmente ci troviamo in una fase nuova della storia delle droghe: quella in cui la globalizzazione ha portato, tra le altre cose, al consumo di massa di droghe per ragioni edonistiche e di aumento delle performance cognitive o lavorative o militari o sessuali.

C’è una domanda diffusa di piacere e di potere: le droghe stuzzicano da un lato e rispondono dall’altro a questa richiesta.

Il piacere, se considerato fine supremo, si rivela come un padrone così tirannico da rinchiudere l'uomo nell'egoismo e così bugiardo da non mantenere ciò che promette fino a condurre addirittura all'autodistruzione, come appunto accade nelle condotte di addiction.

Di converso, e specularmente, vi è una diffusa sensazione di sconfitta, di insufficienza, di rabbia. Precipitare nella voragine dell’assente, ecco il tuffo nella voracità incontrollata.

Viviamo un’epoca zeppa di eccessi, dal falò della vanità all’incubo della morte per virus.

L’affogo in un altrove nutrito dalla paura di essere un nulla o di essere risucchiati dal nulla diventa una risposta fin troppo facile.

Lo scontro fra controllo e perdita del controllo è pervasivo ed ubiquitario. Ecco allora il craving, strutturalmente correlato a tutte quelle situazioni in cui domina l’assenza della possibilità di effettuare il comportamento di cui si è dipendenti, si sparge e qualifica anche situazioni da cui non si è affatto dipendenti ma che si vuole assolutamente avere.

Eccesso; eccesso di una specie di bramosia di massa.

Le forme dell’eccesso sono coerenti con il temperamento, la storia personale, le caratteristiche di chi le esprime. E della fase della vita che attraversa.

Si va dal perdersi nell’abuso incontrollato, alcol, sedativi, eroina, cibo qui la fanno da padroni, al disperato tentativo di non essere “toccati” da tanta devastazione.

Per l’anoressia restrittiva, quella che non eccede mai, che non vomita, ogni stimolo va controllato per affermare il suo potere di controllo assoluto, delirante. Nulla mi manca, sembra dire l’anoressico, di nulla ho bisogno; questo gelido baluardo si erge come a fermare la storia del divenire contro tutti e tutto. L’anoressico tiene fuori tutto, nulla lo possiede: povero virus, per lui non c’è posto lì!

Che sia un pensiero delirante è ovvio; ma è una risposta enfatizzata dalla epidemia.

Ora tu carissimo Piero mi chiedi come sarà il futuro prossimo? ah se fossi indovino!

La pandemia si è abbattuta come un tornado sconvolgendo tempi spazi lavoro studio abitudini e hobby. Ogni ambito della vita comune è stato pesantemente intaccato.

Se ricordiamo che lo stato di benessere, come spiega l’OMS, è una condizione di calma e sicurezza interna basata nei contesti in cui si vive, la pandemia è l'equivalente di un terremoto permanente che toglie la capacità di prevedere e di rassicurarsi.

L’equilibrio bio-psichico basato sui contesti è saltato.

Si è creata una condizione così insolita e artificiale che può essere raffigurata a un sogno e per molti a un incubo. (4)

Il sogno è stato il racconto che molti hanno vissuto fatto di un tempo rallentato, ritrovato, fatto di relazioni restaurate nell'intimità familiare, il dolce contatto con sé stessi e con la natura. 

Il diluvio di notizie legate all'avanzare della infezione, ai suoi danni e alle morti ha ulteriormente destabilizzato creando una condizione di ansietà e paura difficilmente gestibili.

Se poi so considera che a causa dell'epidemia i servizi per la salute mentale hanno rallentato o addirittura sospeso i trattamenti in corso e impedito i nuovi accessi, si comprende quanto la condizione di sofferenza si sia sparsa nella solitudine. Aggravandosi.

La straordinaria novità ha determinato con la imprevedibilità l'esigenza di una affannata rincorsa alla ricerca scientifica per riuscire a dare risposte allo sconquasso. Non solo l’epidemiologia la virologia e l’infettivologia si sono continuamente interrogate; lo hanno fatto anche la psichiatria e la psicologia. Tantissime organizzazioni a partire dalla OMS dalla APA, dal National Institute of Mental Health hanno messo in campo team di ricerca che hanno permesso di vedere come la sofferenza mentale e relazionale è cresciuta dell'ordine tra le due e le tre volte rispetto a quanto non fosse agli inizi di gennaio. Un carico di sofferenza enorme (5).

Succede che una persona che non ha mai avuto nessun problema fisico né mai abbia avuto bisogno di andare da uno psichiatra o psicologo, all'improvviso inaspettatamente si senta venire meno le forze, abbia vertigini senta il sudore gelido che lo bagna nella schiena mentre il battito cardiaco diventa vertiginoso e manchi il respiro e si senta perduta col terrore di precipitare in una specie di pozzo senza fondo che lo porta dritto dritto alla morte . Appena la crisi è superata nella persona rimangono la speranza e la paura. Sente il pericolo che la crisi sia ripeta ma nello stesso tempo ricorre a scongiuri perché si augura che non debba mai più ripresentarsi una situazione così drammatica. Spesso l'individuo non ha neanche il coraggio di parlarne, rimane un suo segreto viver nell'interiorità questa esperienza di morte apparente 

Bene la pandemia ci ha fatto vivere una esperienza simile, ma non episodica, continua; e l'abbiamo vissuta in comune sotto una forma di stress prolungato.

Ovviamente ognuno di reagisce allo stress con le risorse e la personalità che ha sviluppato nella propria vita. C’è chi è più vulnerabile ma qualcuno addirittura dalle dure prove trova motivo per diventare anche più strutturato di quanto non fosse prima. 

Come reagiremo allo stress cronico? Come ne elaboreremo la memoria? Come fanno le persone che hanno vissuto esperienze di angoscia e di perdita provocata da una crisi acuta come brevemente sopra ho richiamato. Ci sarà chi cercherà di gettarsi  tutto dietro le spalle dimenticando ubriacandosi di vita ritrovata e chi invece rimarrà angosciato e trattenuto dal timore che si ripresenti l'epidemia. Ci saranno quelli che devono gestire le perdite più gravi e quelli che hanno subito una invasione emotiva drammatica. Più si è esposti maggiore è lo stress più intensa la reazione.

Come scaglie che si spargono avremo una realtà ancor più differenziata. Quelli che vorranno riprendere a correre non sopporteranno i piagnoni, quelli spaventati non sopporteranno i faciloni; quelli che cercano di recuperare il sonno perduto nelle notti angosciate e quelli che non riusciranno ad uscire da una condizione di ansia e depressione.

Purtroppo è prevedibile che disturbi del comportamento come l'abuso di alcol di psicofarmaci di droghe illecite il ricorso smodato al cibo diventino ancor più le modalità più comuni per potere illusoriamente controllare lo squilibrio psico-fisico generato dalla epidemia (6).

Ci saranno una serie di situazioni paradossali: saremo molto più vicini perché abbiamo provato esperienze emotivamente molto intense contemporaneamente, fare esperienze condivise costruire memorie assieme, significa intensificare le relazioni. 

D'altro verso la quantità di ferite e di sofferenza e la straordinaria differenza delle risposte prevedibili tra chi non ne vorrebbe più sentir parlare e chi non riesce a prendere le distanze dall'incubo porterà conflitti interni e incomprensioni crescenti.

Il paese ha bisogno di unità per rinascere, ma rischia di ritrovarsi ancor più frantumato oltre che per le differenti preoccupazioni e i differenti destini socio-economici, per le diverse risposte emotive all'epidemia.

In tutti i casi c'è bisogno di curare un paese molto ferito. 

La forzata restrizione stimola l’inquietudine. Se si aggiunge che il blocco è stato scandito da allarmi risuonanti da ogni dove, l’ansia che si è diffusa non è davvero poca. (7)

Se si facessero delle risonanze magnetiche si vedrebbero i danni cerebrali.

Vorrei cercare di  scrutare il futuro su cosa rimarrà come effetto secondario negativo o positivo in modo da potere poi focalizzare delle adeguate strategie di intervento.

L'impatto emotivo della emergenza su una persona dipende dalle sue caratteristiche di personalità  e dalle esperienze, dalle sue condizioni sociali ed economiche, da quelle della sua comunità e dalla disponibilità di risorse locali.

La forzata restrizione al movimento stimola l’inquietudine. Se si aggiunge che il blocco è scandito da allarmi risuonanti da ogni dove in talkshow senza tregua che vomitano parole e numeri ansiogeni sugli spettatori, l’ansia che si diffonde non è davvero poca.

Uno dei tanti paradossi è che di fronte all’allarme le persone si attaccano alle informazioni indipendentemente dalla loro fonte e le assorbono con ingordigia: c'è una abbuffata di notizie che finisce con l'essere ancora più ansiogena.

La forte pressione emotiva mette a dura prova il controllo degli impulsi. La persona può allora sviluppare fobie ed ossessioni per cercare di contenere l’ansia; assieme ad esiti di area ossessiva-compulsiva possono svilupparsi restrizioni e chiusure su sé stessi, veri e propri crolli depressivi tra cui l’anoressia nel tentativo di evitare lo scacco e recuperare il controllo.

Sul versante opposto e più facilmente il soggetto puo’ perdere il controllo degli impulsi.

Allora sono il ricorso all'alcol, all'abbuffata alimentare, al mangiare nervoso,  all'ansiolitico o alle droghe le risposte più consuete per ridurre il livello di tensione. Quando lo stress è troppo elevato, quando i lutti sono troppo forti e insopportabili, si possono formulare delle vere e proprie patologie che possono durare per molto tempo ancora. Ne subisce di più chi è più fragile, chi paga troppi lutti, chi è più prossimo al dolore, chi ha una condizione emotiva instabile, i  bambini, chi è costretto a doversi misurare coi limiti, chi è più precario, vulnerabile, chi è anziano.

La paura del contagio e della malattia unite alla limitazione della libertà individuale con restrizioni particolarmente stringenti, provoca emozioni forti nella popolazione, principalmente ansia e agitazione, ma anche nervosismo, irrequietezza e incapacità di gestire una reclusione domestica.

Si può spezzare la speranza per il futuro, si può diventare depressi, perdere motivazioni, vivere un calo di energia, riduzione di competenze cognitive, difficoltà di attenzione di apprendimento di produttività, diffusione di disturbi psicosomatici comprese le azioni autolesive e le idee suicidali.

Le reazioni alla epidemia possono includere la paura ipocondriaca per il proprio stato di salute e per quello dei propri cari, cambiamenti nel sonno o nello stile alimentare, difficoltà a concentrarsi, aggravamento dei problemi precedenti, formazione di manie, aumento del ricorso all'alcol al tabacco a psicofarmaci o a altre droghe per modulare la pressione emotiva.

La percezione soggettiva di controllo sulle situazioni è fondamentale per determinare la differenza tra stress positivo e stress negativo.

Perché le persone perdono il controllo? Ricerche di neuroscienze ipotizzano i correlati di base neurobiologica: nel nucleo accumbens del cervello sono situati entrambi i tipi di neuroni, quelli attivati da stati di pressione e urgenza e quelli di controllo. Essi partecipano a diversi percorsi cerebrali, e hanno effetti opposti quando sono attivati.

I neuroni attivati da urgenza sviluppano sentimenti di piacere e ricompensa e incrementano comportamenti volti a ripetere le esperienze percepite come gratificanti (13).

I neuroni di controllo smorzano il piacere e la ricompensa e inibiscono i comportamenti che sono associati con le esperienze negative.

Normalmente, i due tipi di neuroni lavorano insieme per promuovere scelte comportamentali sane.

Col crescere dello stress si ha una iperattivazione di entrambi i tipi di neuroni.

Quando lo stress perdura in modo sostenuto e prolungato ed è di grande magnitudine come è l’attuale i meccanismi di controllo si annullano; si generano elevati livelli di cortisolo; l’ìpercortisolismo costituisce uno dei fenomeni psico-neuro-immuno-endocrinologici più severi.

Lo stress è responsabile di numerose risposte disadattive che a loro volta danno luogo a diversi disturbi tra i quali spiccano quelli di area ansioso-depressiva, i disturbi dell’alimentazione e i disturbi da uso di alcol e altre sostanze.

La pressione emotiva aggiunge una notevole quantità di stress. Le persone che sono affette da disturbi della dipendenza sono spesso già molto inclini allo stress. Il consumo d sostanze serve apposta per disinnescare tensioni altrimenti non gestibili. Queste condotte danno nel breve la percezione di sedare l’ansia creando nel lungo uno stato di sofferenza aggravato.

Combinato col disturbo alimentare medesimi meccanismi possono favorire l’abuso di alcol o di altre sostanze sia di prescrizione che off label o illegali. Meccanismi neurobiologici e psicosociali comuni possono mettere in atto condotte impulsive e compulsive e veri e propri comportamenti di addiction (8).

Le varie condotte di addiction rappresentano per il soggetto un rifugio mentale per schermare l’imprevedibilità e l’angoscia delle vicende con la ricerca di uno stato di piacere che riesca ad anestetizzare la sofferenza psichica.

Molta più attenzione dovrà essere data alla gestione degli stati di craving, la condizione sindromica di base di tutte le addiction, caratterizzata da un’urgenza appetitiva di ricerca di ricompensa come fuga dal dolore. (9).

Il craving si manifesta con maggiore forza in soggetti con una particolare instabilità emotiva, una scarsa tolleranza alle frustrazioni, una tendenza all’acting-out ed un sentimento di inadeguatezza rispetto alle proprie capacità di gestire le problematiche che emergono nelle relazioni. Oggi, causa la pandemia, questo tipo di esperienze sono praticamente universali e pongono una grande domanda di salute che sarà bene cominciare ad affrontare per attenuarne le ricadute a medio e lungo termine.

 

Chi è in trattamento dovrebbe continuare, probabilmente ora ne ha più bisogno. Li si può fare virtuali, ma per chi è molto esposto la presenza fisica ha un impatto molto più forte; è chiaro, seguendo le regole più prudenziali. Anche questa diventa una occasione di educazione alla salute. Ma c’è da mettere in conto la gestione di disturbi mentali e relazionali per molto tempo ancora.

Gli operatori e tutte le persone che vedono direttamente il dramma dell’epidemia sono fortemente esposti alla sofferenza mentale.  Questo è il settore di popolazione maggiormente all’attenzione. Non a caso è in ambito psicologico il tema già oggi più affrontato. Il burnout professionale già prima considerato un fattore tra i maggiori nel danneggiare la qualità delle cure, oggi può diventare endemico con gravi ripercussioni sulla salute psico-fisica dei sanitari e degli operatori di prossimità.

 

L’addiction rende sempre più facili e gratificanti alcune esperienze e, di converso, sempre più difficili e meno gratificanti le altre diverse esperienze. O per difficoltà iniziali o grazie alle gratificazioni, la persona finisce col privilegiare certe abitudini (di consumo di droghe o di comportamenti) a scapito di altre. L’addiction è una malattia di un cervello che si struttura seguendo le sue esperienze (10).

Allora sono il ricorso all'alcol, all'abbuffata alimentare, al mangiare nervoso, all'ansiolitico o alle droghe, le idee suicidali le risposte più consuete. Ne subisce di più chi è più fragile, chi paga troppi lutti, chi è più prossimo al dolore, chi ha una condizione emotiva instabile.

Quando lo stress perdura in modo sostenuto e prolungato i meccanismi di controllo si annullano ed accadono numerose risposte disadattive.

Mangiare in modo disordinato è un meccanismo disadattivo. Il vertice di questa condotta è la food addiction (11). Dà un falso senso di controllo, specialmente durante periodi di stress elevato; questi sintomi possono trasformarsi in un vero e proprio disturbo alimentare. I disturbi alimentari implicano di per sé segretezza e isolamento personale. Gli individui alle prese con disturbi alimentari abbuffano, eliminano o limitano in segreto per mantenere una facciata che tutto va bene. Isolamento e segretezza simili possono emergere quando si affronta lo stress.

Combinato col disturbo alimentare medesimi meccanismi possono favorire l’abuso di alcol o di altre sostanze sia di prescrizione che off label o illegali. Meccanismi neurobiologici e psicosociali comuni possono mettere in atto condotte impulsive e compulsive e veri e propri comportamenti di addiction come rifugio per schermare l’angosciosa imprevedibilità.

Questa trasformazione ha cambiato tutti gli equilibri gli equilibri delle relazioni fare l'attività clinica è diventato impossibile è stata sospesa.

Si sono intrapresi dei modi di comunicazione che non si conoscevano che non si utilizzavano cercando di supplire attraverso l'online a quello che era l'incontro / ovviamente intaccando molto sia i momenti della formazione che dell'approfondimento che della costruzione di un'alleanza terapeutica .

Ci ricordiamo quando si strillava a un ragazzo che stava ore al videogiochi dicendogli che la sua era una condizione di dipendenza? di videochat dipendenza. Sono passate poche settimane e

quello che era un rischio negativo e pericoloso è diventato il metodo per affrontare il nuovo periodo. La condotta patologica è diventato il metodo corretto . Uno dei tanti paradossi della pandemia.

La addiction da video chat è lo strumento per bypassare l’isolamento sociale!

Le situazioni di perdita del controllo hanno molto bisogno della presenza dell'altro Il caregiver spalla che ti supporta nei momenti di difficoltà che è presente che è con te che partecipa alla tua storia; che sia di contenimento.

Ora si è creata una situazione paradossale perché con l'online della presenza potrebbe essere ancor più facile vedersi; si sono spalmati il tempo e il dove, non c'è bisogno di raggiungere, né di prendere un appuntamento. Basta una telefonata, un WhatsApp.

Ma questa presenza maggiore avviene in una condizione di distanziamento maggiore.

Quindi la persona è più sola; gode di maggiore libertà ma ha meno appoggi.

Chi è sicuro può stare anche meglio, chi è insicuro può sentirsi più facilmente in pericolo, abbandonato . La cura della dipendenza è soprattutto relazione contenimento . A distanza funziona meno.

L'epidemia è stata come un meteorite catastrofe che ha sconvolto tutti i contesti.

Una volta controllata la circolazione del virus la vita potrà riprendere come prima? è chiaro che il desiderio intimo di potere superare questo momento di incubo per recuperare il controllo è forte; molte persone cercheranno di fare quella forma di auto rassicurazione che è la rimozione.

Con l'isolamento la capacità del controllo si è ridotta; quindi anche l'idea che si poteva guidare la terapia è diventata molto più tenue.

La catastrofe ha obbligato a rinunciare alle pratiche ai luoghi alle persone alle distanza creando quindi un fattore imprevisto. Ha alterato le distanze ha lasciato le persone più sole, più libere ma più isolate. Sono cadute le onnipotenze: come si può pensare di guidare una persona, una famiglia, un gruppo attraverso l’on-line? Ma come può pensare quella persona, famiglia, gruppo sentirsi sicuro? perché in tasca ha lo smartphone e può chiamare quando vuole? come può funzionare la terapia come rassicurazione solo con una presenza in un video ? le terapie della dipendenza vanno ripensate; ma è chiaro che anche in questo settore lo sconquasso dell’epidemia renderà più difficile la situazione di chi ha bisogno di più presenza, i dipendenti più compromessi, più severi e deteriorati.

Chi ha bisogno di linee-guida le otterrà prima e più disponibili di prima, ma chi ha bisgno di contenimento?

Tra le tante stranezze della epoca che stiamo vivendo e che tutti condividiamo le stesse paure Quindi la possibilità di rivolgersi a qualcuno per depositare le nostre paure immaginando che lui quelle paure non le abbia vissute è sparita.

Il modo con cui così subdolamente circola il virus fa sembrare di essere esposti a una roulette russa con le relative angosce scariche di adrenalina paure eccitazioni.

Il trattamento è di norma la relazione, la relazione terapeutica che consente l'attivazione di circuiti altrimenti sommersi o interrotti dalla patologia o dalla sofferenza della persona .

Il trattamento delle dipendenze è principalmente questo l'allontanamento dagli stimoli da cui si era costruita una dipendenza e l'intrapresa di nuove esperienze che possono donarti quella soddisfazione quel desiderio che altrimenti sarebbe totalmente rimosso in un contesto sicuro e protetto.

I pazienti ricoverati nelle residenze o nelle comunità hanno trovato una certa soddisfazione vendicativa nel vedere che anche alle altre persone veniva fatta una restrizione della libertà personale: hanno potuto sentire una forma di solidarietà implicita .

Ma la distanza fa fatica a sentirsi partecipe a scambiare empatia.

Esposti a stress continuo si determina un deposito di ansia che si trasformerà in rabbia, in voglia di vendetta, in forme nuove di giustizialismo ma anche in grandi diseguaglianze che accentueranno uno stato di frustrazione diffusa .

Frustrazione che si riversa anche sugli operatori. Quante preoccupazione sfida incertezze hanno incontrato a causa del covid? Nel rapporto coi pazienti, i loro familiari, i propri familiari, il rapporto con i colleghi, le questioni del mezzi tecnologici, finanziari, la raccolta dei dati.

Ovvia la previsione che vede un forte bisogno di sostegno agli operatori e ai servizi con processi di formazione più intensi e di supervisione più frequenti anche per attenuare il carico di frustrazione che si trasforma in un accentuazione della burnout (12, 13).

Se si pensa che già prima del covid il burnout tra gli operatori era considerato il secondo principale problema dei sistemi sanitari del mondo industrializzato, essendo il primo l'abbandono del paziente a sé stesso e in assenza di coordinamento delle cure, la pandemia ha grandemente appesantito lo stato degli operatori e probabilmente rappresenterà il problema principale dei servizi nel futuro .

L'emergenza ha rivelato fragilità già presenti nelle persone ma, anche, nelle organizzazioni sanitarie, sociali, politiche e nello stesso sistema produttivo. L'insieme dei servizi pubblici per la salute mentale e di tutte le professionalità che appartengono a questo mondo ne è stato profondamente coinvolto e ha dovuto mutare il proprio modo di operare, di dare assistenza e di fornire prestazioni. Questo mutamento non ha caratteristiche definitive, di soluzione data, ma è ancora in essere , profondamente condizionato dalla evoluzione della crisi socio sanitaria , sociale ed economica.

Durante la pandemia di COVID-19, alcuni operatori sanitari hanno riferito di essere stati oggetto di violenze o maltrattamenti fisici o psicologici, incluso lo stigmatizzazione o la discriminazione.

Già prima del COVID-19, il solo fatto di lavorare in ambito sanitario significava che la probabilità di essere vittima della violenza sul luogo di lavoro rispetto a qualsiasi altro settore era 5 volte di più. Ora, la paura della pandemia e le conseguenti pressioni finanziarie hanno il potenziale per rendere la pratica sanitaria un posto ancora più pericoloso.

Referenze

1, Mahler M., Schoenberger F. Pine F. Bergman A., (1978), La nascita psicologica del bambino, Boringhieri, Torino.

2, Goodman A,  Addiction : definition and implications, Addiction 2006, vol 85, issue 11

3, Hautefeuille M., Qu’est-ce qu’une addiction ?, Psychotropes 2008/3-4, V. 14, p. 5-9.

4, Horesh, Danny; Brown, Adam D. Traumatic stress in the age of COVID-19: A call to close critical gaps and adapt to new realities, Psychological Trauma: Theory, Research, Practice, and Policy, Vol 12(4), May 2020, 331-335

5, Benjamin G. Druss, Addressing the COVID-19 Pandemic in Populations With Serious Mental Illness, JAMA Psychiatry Published online April 3, 2020, E1-2

6, Bonanno, G.A. Loss, Trauma and Human Resilience: have we underestimated the human capacity to thrive after extremely aversive events? American Psychologist, 59, 20-28, 2004.

7, The role of emotion and emotion regulation in social anxiety disorder. Jazaieri H, Morrison AS, Goldin PR, Gross JJ. Curr Psychiatry Rep. 2015 Jan;17(1):531. doi: 10.1007/s11920-014-0531-3. Review. PMID: 25413637.

8, Goodman, A. (2008). Neurobiology of addiction. An integrative review. Biochem Pharmacol, 75(1), 266-322.

9. Nizzoli, U, Croce M., Margaron H., Caretti V., Zerbetto R., Lorenzi P. Craving. Alla base di tutte le dipendenze; Quaderni di Personalità/Dipendenze n. 2, Mucchi, 2011

10, Goodman, A. (1990). Addiction: definition and implications. Br J Addict, 85(11), 1403-1408.

11, Melchionda N, (2014) Food Addiction. Sviluppo dei Disturbi Alimentari e delle Obesità, Mucchi, Modena

12, Wurm W, Vogel K, Holl A, et al. Depression-burnout overlap in physicians. PLoS One. 2016;11:e0159913.

13, Pamela Hartzband Physician Burnout, Interrupted, Perspective, NEJM  n May 2, 2020.

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Umberto Nizzoli è specialista in Psicoterapia e in Psicologia Clinica, Perito di tribunali; già docente nelle Università di Bologna, di Padova, di Parma e di Modena, insegna presso le Università IPU, Auxilium e Unitelma Sapienza.

E’ presidente SISDCA, società italiana disturbi alimentari.

AEPEA europa, membro AED, vice-presidente European Chapter AED, affiliate APA, advanced member ISSUP.

Già direttore del Servizio Maternità-Infanzia- Età Evolutiva e del Dipartimento aziendale Salute Mentale e Dipendenze Patologiche dell’Ausl di RE. Ha diretto il Sert, il Servizio per i Disturbi Alimentari e il Presidio per la cura dell’Abuso ai minori.

Vanta una vasta produzione scientifica di volumi e articoli (oltre 900); ha diretto numerose ricerche nazionali ed europee.