Premessa. Scrivo al femminile perché la storia ha finora visto principalmente delle anoressiche femmine. Ma le cose stanno cambiando ed i maschi sono sempre di più. Quindi un’avvertenza: si legga il femminile di questi articoli contemporaneamente al maschile ed al femminile.
L’anoressia e’ un crocevia di tensioni e di contraddizioni. Ed è densa di mistero. Sembra una sfida in cui la persona vince, anzi domina. Domina il corpo, le sue pulsioni, i bisogni più comuni e profondi.
Sentire, e soffrire, duramente la fame offre il destro per sentirsi più potenti. Dominare la fame da’ la vertigine del supremo potere, nulla può essermi imposto se neppure la fame più dolorosa mi piega. Ci si sente esaltati da questa lotta: più la fame cresce e morde e più ci si sente forti.
Chi le incontra spesso ne è spaventato: le vere anoressie formano corpi emaciati, macerati dal digiuno che camminano spediti ed energici a dispetto dell’apparenza.
Tante volte si sente apostrofare qualche persona che per rabbia o disperazione rinuncia a mangiare e dimagrisce vistosamente con un “sei proprio una anoressica”. Ma non è sempre vero che i magri o chi digiuna sia anoressico. Ci vogliono vari criteri per essere anoressici, non basta la magrezza. A proposito, hai notato che scrivo al maschile e non al femminile? A dispetto della tradizione che vedeva le femmine prevalere largamente sui maschi ormai sono parecchi i soggetti di sesso maschile che sviluppano l’anoressia. Recentissime ricerche dimostrano che in certe aree degli Stati Uniti maschi e femmine si equivalgono per numero e che anzi i maschi hanno sintomi ancora più gravi. E’ facile prevedere che il medesimo trend epidemiologico si realizzi presto anche da noi.
In una ricerca fatta quando ero in Ausl con il valente ricercatore sociale Agostino Giovannini, scoprimmo che anche in Italia gruppi di persone con volontà di diventare anoressiche si galvanizzavano a vicenda tramite i social network. Una rete di chat e forum aderenti alla filosofia dei pro-Ana, una specie di religione che esalta l’anoressia e spinge a seguire una serie di criteri per esaltarla e spingerla alle estreme conseguenze. Per alcuni è uno spiegare agli altri l’arte del digiuno. L’esaltazione dell’Io di chi si riconosce in questi obiettivi è davvero grande. Il distacco dalle condizioni di realtà ne consegue.
Sul tema c’è un fiorire in tutto il mondo di persone che forti della loro esperienza, raccontano come diventarono anoressiche e come poterono uscirne. Io consiglio alle mie pazienti ormai recuperate di rendere la loro esperienza fruibile agli altri in una forma di restituzione che serve a prevenire in altri la sofferenza che loro vissero. Raccontarsi non è però facile, si potrebbe non essere capiti.
Ci sono però alcuni che lo fanno, anche con ostentazione; specie di eroi che sono potuti rientrare da un’avventura che poteva portarli al decesso. Infatti l’anoressia, quella vera, è anche un gioco con la morte, una sfida.
Chi non l’ha sperimentata non può riuscire affatto a capire, dicono alcuni di costoro. I più possono solo leggere, ascoltare e rimanere infreddoliti da tanto rischio. Alcuni raccontano, si raccontano, come fenomeni da festa degli zombie.
D’altronde, va riconosciuto, rifiutare il cibo a scapito delle funzioni corporee non è una dipendenza facile da strutturare. E in tutte le dipendenze trovi persone che ti sbattono in faccia: cosa vuoi capire tu che non l’hai avuta? Vogliono sentirsi speciali.
Gina Bellafante ha messo bene in chiaro tutto ciò in un suo articolo per il New York Times: “L’anoressia è una malattia piena di contraddizioni: esige disciplina e indulgenza …. L’anoressica scompare per essere vista, lavora per l’auto- miglioramento, per la perfezione, mentre si auto- annienta”. L’anoressia è una condizione di “allucinazione intellettualizzata”. Questa definizione sintetica è la migliore di quelle che ho letto, e punta al modo conflittuale in cui si parla della malattia: la nostra intenzione è critica, ma il linguaggio è (purtroppo) celebrativo. L’anoressia affascina per il suo invilato ideale di magrezza.
Trovo stimolante le riflessioni che avanza Kelsey Osgood nel suo libro “How to Disappear Completely: On Modern Anorexia”: vi analizza questi paradossi, commentando criticamente gli scritti delle anoressiche sulle anoressiche. Il suo progetto è apertamente un volere andare contro corrente, per esporre l’ipocrisia delle memorie pseudo – redentrici scritte da coloro che si considerano recuperati e dopo avere stupito per la magrezza adesso vogliono stupire coi loro racconti.
La Osgood crede che il merito di questi autori, che sono spesso chiamati rigorosi ed onesti oltre che coraggiosi ed altruisti, sia in realtà ingenuità, forse anche voluta: in realtà, i loro libri spesso non fanno altro che insegnare ai lettori a seguire una dieta e a pensare all’anoressia come a una malattia densa di aspirazioni.
E’ una bella critica soprattutto perché viene da qualcuno che ha passato più di un decennio dentro e fuori dagli ospedali sempre sull’orlo della morte, una che che dovrebbe essere presa sul serio. Infatti Osgood contrasse la malattia da adolescente copiando le abitudini di altre anoressiche, utilizzando proprio quei libri che pretendevano di essere mirati verso il recupero, quelli scritti da ex anoressiche. Lei li prese alla lettera, didattica come fossero manuali per fare la dieta. Ricorda il pensiero dell’anoressia non come una grave malattia, ma come il più logico progresso per il completo auto-controllo.
Ecco il contributo fondamentale di Osgood: bisogna vedere il difetto di questa logica perché non può essere che per migliorarsi ci si rovini.
Umberto Nizzoli